Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: "Quandomi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’ Ercule segnò li suoi riguardiacciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigiliad’i nostri sensi ch’è del rimanente
Considerate la vostra semenza:
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno Canto XXVI