29 giugno 2007

La Tartaruga come fa...

da YogaJournal
di Marilia Albanese

Nello yoga sono molte le posture che si riferiscono al mondo animale. La loro esecuzione, accanto al più esplicito intento di evocarne le caratteristiche e le attitudini, influisce anche nell’ambito più sottile dell’inconscio e degli archetipi, collegandosi ai significati simbolici che molti animali rivestono nella cultura indiana.

Già significativi nella cosiddetta Civiltà della Valle dell’Indo (in piena fioritura nel II millennio a.C.) animali quali il toro, la tigre, il bufalo, il serpente e altri ancora vennero assunti nella cultura hindu quali vahana, ovvero “cavalcature” degli dei, e proiezioni di alcune specifiche qualità associate ai loro signori. Nel caso di kurma (la tartaruga), l’animale non è una “cavalcatura”, ma una forma del Divino. In uno dei miti più antichi (risalente al IX sec. a.C. circa) che raccontano la nascita dell’Universo, il dio progenitore Prajapati schiacciò il guscio dell’uovo cosmico e con il composto ottenuto creò una tartaruga, simbolo del mondo: la parte ricurva superiore della corazza dell’animale costituì il cielo, quella inferiore la terra e il corpo racchiuso nel carapace l’atmosfera. Considerata l’elemento vitale nel processo della manifestazione, la tartaruga giocò un ruolo fondamentale nella costruzione dell’altare del fuoco fin dal I millennio a.C., venendo racchiusa all’interno del primo strato di mattoni per garantirne la stabilità. Inizialmente viva, fu in seguito sostituita da immagini in pietra, argento e oro.
Secondo la leggenda, Inizialmente associata al dio Prajapati, kurma venne quindi assorbita tra gli avatara (le discese salvifiche del dio Vishnu) e giocò un ruolo fondamentale nel famoso mito della zangolatura (metafora della creazione, ndr) dell’oceano. Prima che il mondo avesse origine, i deva (gli dei) erano continuamente minacciati dai danava (sorta di antidei demoniaci), per cui si erano rivolti a Vishnu, Signore della Provvidenza, che aveva consigliato agli dei di procurarsi l’ambrosia che rendeva immortali.
Il prodigioso nettare giaceva nelle profondità dell’oceano di latte e per estrarlo gli dei avrebbero avuto bisogno dell’aiuto dei danava, per cui promisero loro una parte dell’ambrosia. Stretto il patto, la montagna cosmica (che in questo mito è il monte Mandara) venne collocata nell’oceano con legato attorno il serpente Vasuki, in modo da ottenere una zangola (arnese per fare il burro, ndr). Le due parti cominciarono a tirare il rettile, gli dei per la coda e i demoni per la testa, facendo girare la montagna come un frullino, ma questa cominciò ad affondare e allora Vishnu, assunta la forma di tartaruga, scese nell’oceano per fare da base al Mandara.
Durante la zangolatura emersero esseri e oggetti meravigliosi: la bellissima dea Lakshmi, che divenne sposa di Vishnu; le Apsaras, ninfe celesti; Surabhi, la vacca dell’abbondanza; il cavallo bianco; la luna; il gioiello kaustubha che orna il petto di Vishnu; l’albero di parijata che esaudisce i desideri, etc. Ma nel frattempo si era sprigionato anche un velenoso miasma e Shiva, per salvare l’Universo, lo inghiottì prontamente striandosi la gola di blu e meritandosi il nome di Nilakantha (“Colui che ha la gola blu”). Finalmente emerse Dhanvantari, il medico degli dei, con l’ampolla dell’ambrosia fra le mani. I danava cominciarono a reclamare a gran voce la loro parte, ma Vishnu, assunte le spoglie di Mohini, una splendida fanciulla, li incantò con il suo fascino e distribuì l’ambrosia agli dei. Questi, rinvigoriti, sconfissero i danava e divennero signori dell’Universo.