Il trattato di Alberti non ebbe molto seguito nel Quattrocento. Questo è imputabile alla difficoltà di lettura dovute ad un lessico forbito, in quanto, per suo dichiarato intento si rivolge ad un pubblico colto. La scelta del latino evidenzia questa sua particolare volontà.
Probabilmente è anche sulla base di questa difficoltà che gli altri trattati che seguirono il De Re Aedificatoria nel corso del Quattrocento, ebbero forme più semplici.
Primo tra i trattatisti del Quattrocento, Antonio Averlino detto il Filarete, soprannome che lui stesso si individuò traendolo dalla parola Philaretus significante amico delle Virtù.
Fiorentino, operò fino alla fine degli anni ’20 del ‘400 presso la bottega di Ghiberti, dove presumibilmente lavora alle formelle per la porta del Battistero Fiorentino; successivamente sarà a Roma dove realizza il suo capolavoro, i battenti bronzei per la porta di San Pietro. Dagli anni ’60 sarà a Milano alla corte di Francesco Sforza, e questi saranno gli anni che dedicherà alla stesura del suo Trattato di architettura. Farà una doppia dedica, allo Sforza e a Piero dei Medici, probabilmente nella speranza di ottenere un maggior numero di commesse.
Il trattato non verrà mai pubblicato, se non alla fine dell’800, ed ebbe una scarsa diffusione. Non era scritto in latino ma in volgare e non ha la formulazione sistematica del trattato, ma si tratta sostanzialmente di una forma romanzata diaristica e dialogica che analizza le fasi della formazione della città di Sforzinda (chiara dedica a Francesco Sforza).
Inizia con l’esposizione, da parte dell’architetto incaricato della costruzione davanti ad una folla, dei principi base dell’architettura.
Nella seconda parte passerà all’esposizione vera e propria delle tappe per la formazione della città adottando un “trucco letterario” per porre in continuità Sforzinda con l’Antichità. Narra il ritrovamento di un “libro d’oro” che ripercorre i passaggi della formazione della città di Plusiapolis, in stretta anologia con la sua Sforzinda.
Descrive la città come una forma centrale, ottagonale, con le strade che irraggiano verso il centro, nucleo dove si trova il potere civile, con il palazzo del potere, la chiesa e il mercato, quindi anche potere religioso ed economico.
Come Alberti, anche Filarete condivide il concetto vitruviano di origine dell’architettura nella capanna lignea, creata dall’uomo per proteggersi dalla natura con forme in mimesi con essa. Sarà il primo a disegnare la cappana dell’origine. Infatti, il suo trattato in 25 libri, è illustrato contrariamente a quello di Alberti che crede invece nel primato della parola nei confronti delle illustrazioni (anche se potrebbe essere una scarsa fiducia nella corretta ri-proposizione da parte degli amanuensi). Anche se le illustrazioni hanno un carattere autonomo svincolato dalla trattazione. Affronterà anche il concetto di colonna dell’origine, in quanto derivante dal tronco. Filarete propone il concetto di necessitas, ovvero di necessità primario di avere una casa, di bisogno. Sarà anche per questo il primo trattatista utopico del Rinascimento.
Come ogni architetto umanista ha una posizione favorevole alla trasposizione delle misure dell’uomo nell’architettura, una forte concezione antropometrica. Individua nella testa, il modulo, l’elemento degno che governa tutte le dimensioni. Avanzerà anche una concezione organicista, con la quale vede per l’architettura un ciclo di vita comprendente nascita, sviluppo crescita e morte.
Per quanto riguarda i genera, riporterà delle misure diverse da quelle di Vitruvio. Vede nei vari tipi di ordine una rispondenza a caratteri umani.
Si ricollega al tema albertiano delle tipologie edilizie, aggiungendo anche un punto di vista funzionalistico, proponendo per le case private una ripondenza tra il tipo edilizio e il censo del fruitore. Sarà il primo che ipotizzerà la ripetizione all’infinito di un modello architettonico e ne da un giudizio non positivo, lontano dalla formula naturale e divina. Sempre da Alberti attenge le varietas, le formule che permettevano una maggiore creatività da parte dell’architetto nell’assemblaggio delle varie parti della composizione classica.
Altro importante trattatista del Quatrocentro è Francesco di Giorgio Martini (1439-1501). Contrariamente ad Alberti e al Filarete, il suo trattato avrà molta fortuna, anche se non sarà pubblicato a stampa fino all’800, circoleranno copie manoscritte. Anche Leonardo da Vince deve averne avuta una a disposizione, come importanti architetti del XVI e XVII sec Peruzzi, Serlio o Palladio.
Anche la carriera professionale di FDGM sarà proficua, lavorerà nella maggiori corti d’Italia della seconda metà del Quatrocento: Urbino, Napoli, Milano e Pavia. Realizzarà in particolare fortificazioni opere alle quali dedica una parte del trattato. Si tratta fondamentalmente di due testi, due versioni, redatte tra 1470/90 quando si trovava a Milano. Della prima versione, “Architettura, ingegneria ed arte militare” si conserva un manoscritto a Torino, ed è una versione “più disordinata”, non sistematizzata. Si capisce che ancora non conosce né Filarete né Alberti. Inizia parlando per prima cosa delle fortificazione e solo dopo affronta concetti più teorici, come la rispondenza antropometrica dell’architettura. Dirà di più, vede anche nella città una rispondenza con le forme e le misure del corpo umano. L’elemento eletto, la testa della città è la fortezza. Sarà in questo trattato che troveremo per la prima volta la figura dell’uomo vitruviano. Contrariamente ad Alberti, uomo di lettere, FDGM, è un costruttore, un uomo pratico, che crede molto di più nella rappresentatività del disegno che della parola. Quindi il suo trattato comprende illustrazioni in stretta rispondenza con il testo.
In questa stesura anche se non rivela esplicitamente fonti nell’antichità romana, da atto di un suo vivo interesse nel momento in cui si preoccupa della loro deteriorabilità e del loro mantenimento verso i posteri.
Nella seconda versione, datata 1492, della quale si conserva un manoscritto alla Marucelliana di Firenze, si ha una forma più sistematica, è composto da 7 volumi con una prefazione ed una conclusione. Nella prefazione indica le fonti nell’antichità romana e nei suoi testi, quindi in Vitruvio. Dimostrerà nel testo di conoscere sia Filarete che Vitruvio. Affronterà il tema delle fortificazioni, riconfermando la sua visione antropocentrica anche per la città, ampliandola anche a scale superiori come il cosmo. Si ricollegherà a Filarete per quel suo discorso funzionale di relazione tra tipo edilizio e reddito di chi vi abita. Si discosta da Alberti nell’uso del disegno, mentre per i genera riconferma le misure vitruviane e non quelle del Filarete.
Leonardo Da Vinci, personalità di massimo spicco per tutto il Rinascimento non ci lascia nessun trattato di architettura. Quello che ci è pervenuto è molto poco, fogli sparsi, appunti per un probabile trattato. Probabilmente ha avuto a disposizione copia del trattato di Francesco di Giorgio e che si erano incontrati. Realizzerà anche lui la figura assai famosa dell’uomo vitruviano, confermando di appartenere anche lui ai sostenitori della concezione antropometrica dell’architettura (d'altronde in tutte le arti del Rinascimento si esplica la concezione antropocentrica, che pone l’uomo al centro del mondo)
Anche di Bramante non abbiamo opere scritte, se mai sono esistite. Abbiamo un suo parere scritto relativo alla copertura del Duomo di Milano e se ne evince una forte concezione statica, quindi legata ai probremi strutturali ma anche una sorprendente consapevolezza storia nella ricerca di trovare conformità stilistica con il precedente intervento gotico.
Storia semi-seria della Critica architettonica - indice.
Probabilmente è anche sulla base di questa difficoltà che gli altri trattati che seguirono il De Re Aedificatoria nel corso del Quattrocento, ebbero forme più semplici.
Primo tra i trattatisti del Quattrocento, Antonio Averlino detto il Filarete, soprannome che lui stesso si individuò traendolo dalla parola Philaretus significante amico delle Virtù.
Fiorentino, operò fino alla fine degli anni ’20 del ‘400 presso la bottega di Ghiberti, dove presumibilmente lavora alle formelle per la porta del Battistero Fiorentino; successivamente sarà a Roma dove realizza il suo capolavoro, i battenti bronzei per la porta di San Pietro. Dagli anni ’60 sarà a Milano alla corte di Francesco Sforza, e questi saranno gli anni che dedicherà alla stesura del suo Trattato di architettura. Farà una doppia dedica, allo Sforza e a Piero dei Medici, probabilmente nella speranza di ottenere un maggior numero di commesse.
Il trattato non verrà mai pubblicato, se non alla fine dell’800, ed ebbe una scarsa diffusione. Non era scritto in latino ma in volgare e non ha la formulazione sistematica del trattato, ma si tratta sostanzialmente di una forma romanzata diaristica e dialogica che analizza le fasi della formazione della città di Sforzinda (chiara dedica a Francesco Sforza).
Inizia con l’esposizione, da parte dell’architetto incaricato della costruzione davanti ad una folla, dei principi base dell’architettura.
Nella seconda parte passerà all’esposizione vera e propria delle tappe per la formazione della città adottando un “trucco letterario” per porre in continuità Sforzinda con l’Antichità. Narra il ritrovamento di un “libro d’oro” che ripercorre i passaggi della formazione della città di Plusiapolis, in stretta anologia con la sua Sforzinda.
Descrive la città come una forma centrale, ottagonale, con le strade che irraggiano verso il centro, nucleo dove si trova il potere civile, con il palazzo del potere, la chiesa e il mercato, quindi anche potere religioso ed economico.
Come Alberti, anche Filarete condivide il concetto vitruviano di origine dell’architettura nella capanna lignea, creata dall’uomo per proteggersi dalla natura con forme in mimesi con essa. Sarà il primo a disegnare la cappana dell’origine. Infatti, il suo trattato in 25 libri, è illustrato contrariamente a quello di Alberti che crede invece nel primato della parola nei confronti delle illustrazioni (anche se potrebbe essere una scarsa fiducia nella corretta ri-proposizione da parte degli amanuensi). Anche se le illustrazioni hanno un carattere autonomo svincolato dalla trattazione. Affronterà anche il concetto di colonna dell’origine, in quanto derivante dal tronco. Filarete propone il concetto di necessitas, ovvero di necessità primario di avere una casa, di bisogno. Sarà anche per questo il primo trattatista utopico del Rinascimento.
Come ogni architetto umanista ha una posizione favorevole alla trasposizione delle misure dell’uomo nell’architettura, una forte concezione antropometrica. Individua nella testa, il modulo, l’elemento degno che governa tutte le dimensioni. Avanzerà anche una concezione organicista, con la quale vede per l’architettura un ciclo di vita comprendente nascita, sviluppo crescita e morte.
Per quanto riguarda i genera, riporterà delle misure diverse da quelle di Vitruvio. Vede nei vari tipi di ordine una rispondenza a caratteri umani.
Si ricollega al tema albertiano delle tipologie edilizie, aggiungendo anche un punto di vista funzionalistico, proponendo per le case private una ripondenza tra il tipo edilizio e il censo del fruitore. Sarà il primo che ipotizzerà la ripetizione all’infinito di un modello architettonico e ne da un giudizio non positivo, lontano dalla formula naturale e divina. Sempre da Alberti attenge le varietas, le formule che permettevano una maggiore creatività da parte dell’architetto nell’assemblaggio delle varie parti della composizione classica.
Altro importante trattatista del Quatrocentro è Francesco di Giorgio Martini (1439-1501). Contrariamente ad Alberti e al Filarete, il suo trattato avrà molta fortuna, anche se non sarà pubblicato a stampa fino all’800, circoleranno copie manoscritte. Anche Leonardo da Vince deve averne avuta una a disposizione, come importanti architetti del XVI e XVII sec Peruzzi, Serlio o Palladio.
Anche la carriera professionale di FDGM sarà proficua, lavorerà nella maggiori corti d’Italia della seconda metà del Quatrocento: Urbino, Napoli, Milano e Pavia. Realizzarà in particolare fortificazioni opere alle quali dedica una parte del trattato. Si tratta fondamentalmente di due testi, due versioni, redatte tra 1470/90 quando si trovava a Milano. Della prima versione, “Architettura, ingegneria ed arte militare” si conserva un manoscritto a Torino, ed è una versione “più disordinata”, non sistematizzata. Si capisce che ancora non conosce né Filarete né Alberti. Inizia parlando per prima cosa delle fortificazione e solo dopo affronta concetti più teorici, come la rispondenza antropometrica dell’architettura. Dirà di più, vede anche nella città una rispondenza con le forme e le misure del corpo umano. L’elemento eletto, la testa della città è la fortezza. Sarà in questo trattato che troveremo per la prima volta la figura dell’uomo vitruviano. Contrariamente ad Alberti, uomo di lettere, FDGM, è un costruttore, un uomo pratico, che crede molto di più nella rappresentatività del disegno che della parola. Quindi il suo trattato comprende illustrazioni in stretta rispondenza con il testo.
In questa stesura anche se non rivela esplicitamente fonti nell’antichità romana, da atto di un suo vivo interesse nel momento in cui si preoccupa della loro deteriorabilità e del loro mantenimento verso i posteri.
Nella seconda versione, datata 1492, della quale si conserva un manoscritto alla Marucelliana di Firenze, si ha una forma più sistematica, è composto da 7 volumi con una prefazione ed una conclusione. Nella prefazione indica le fonti nell’antichità romana e nei suoi testi, quindi in Vitruvio. Dimostrerà nel testo di conoscere sia Filarete che Vitruvio. Affronterà il tema delle fortificazioni, riconfermando la sua visione antropocentrica anche per la città, ampliandola anche a scale superiori come il cosmo. Si ricollegherà a Filarete per quel suo discorso funzionale di relazione tra tipo edilizio e reddito di chi vi abita. Si discosta da Alberti nell’uso del disegno, mentre per i genera riconferma le misure vitruviane e non quelle del Filarete.
Leonardo Da Vinci, personalità di massimo spicco per tutto il Rinascimento non ci lascia nessun trattato di architettura. Quello che ci è pervenuto è molto poco, fogli sparsi, appunti per un probabile trattato. Probabilmente ha avuto a disposizione copia del trattato di Francesco di Giorgio e che si erano incontrati. Realizzerà anche lui la figura assai famosa dell’uomo vitruviano, confermando di appartenere anche lui ai sostenitori della concezione antropometrica dell’architettura (d'altronde in tutte le arti del Rinascimento si esplica la concezione antropocentrica, che pone l’uomo al centro del mondo)
Anche di Bramante non abbiamo opere scritte, se mai sono esistite. Abbiamo un suo parere scritto relativo alla copertura del Duomo di Milano e se ne evince una forte concezione statica, quindi legata ai probremi strutturali ma anche una sorprendente consapevolezza storia nella ricerca di trovare conformità stilistica con il precedente intervento gotico.
Storia semi-seria della Critica architettonica - indice.