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Era da un pezzo che ci pensavo.
Andare oltre.
Ieri è giunto il momento.
Bagaglio improvvisato, abito bianco, sveglia prima dell'alba.
Viaggio in un treno che odora di tutte le ore che ci vogliono per percorrere la penisola, dalla punta a risvolto dello stivale.
Una stazione oltre ogni solitudine, che ti fa tenere la pipì e passare la necessità di una colazione. L'autobus con il biglietto a 8 corse: ingegnosi, la macchinetta mangia un pezzettino del biglietto, contro ogni contraffazione.
La scuola con la sua insegna gialla, in una zona residenziale di case basse e orticelli.
La sala bianca, i tappeti blu.
Tante facce, tanti accenti, Lei e la sua costante semplicità.
Le ore volavano, l'organizzazione procedeva.
Il pasto, un po' di conoscenza. Storie come le tue, storie lontane da te.
Il pomeriggio, altri incontri, altri spunti, altre scoperta, voglia di approfondire.
La notte, l'albergo, la solitudine, la stanchezza.
Il risveglio, il sole e ancora voglia di capire, l'emozione che piano piano si scioglie.
Le facce intorno diventano conosciute, i nomi gli si associano.
Un caffè al volo, il primo della mattina nel pomeriggio, ancora nozioni, ancora interesse e un pizzico in più di ilarità.
La conclusione, la partenza e il treno, ancora compagne di corso e condivisioni, ancora luce.
Poi tutto finisce, getti l'abito bianco e ritorni nei tuoi panni, nel tuo letto, nel tuo lunedì mattina.
Ma qualcosa rimane, ed urla forte dentro di te.
Le rotule - le articolazioni delle tue ginocchia che mai hai udito - rispondono all'eco del lavoro fatto nel week end seduta a terra.