Jan Vermeer, The Kitchen Maid c. 1658; Oil on canvas, 45.5 x 41 cm; Rijksmuseum, Amsterdam
la serva
di demetrio paolin
Lavai il mio padrone.
Mentre lo detergevo con le bende intrise, e lo guardavo stordita di vedermelo davanti, gli graffiai una ferita e fui io a urlare. Lui ruotò gli occhi come se fosse la prima volta che udiva la mia voce e fece una smorfia che voleva essere un sorriso: “Ruth non ti preoccupare, non ho sentito niente”.
Mi cresceva un segreto spavento: se il suo corpo fosse diventato altro da quello che avevamo sempre visto? Il mio padrone, però, senza dare caso alla mia presenza, si era alzato nudo e vuoto per prendere la veste e asciugarsi; lo guardai muoversi. “Che c'è? Non hai mai visto il tuo padrone, Ruth?”
“Mio signore, devi perdonarmi. Oggi sono veramente distratta”
Poi incominciò ad asciugarsi con una rabbia prepotente e quel movimento deciso delle braccia lo ripeté più volte con una frenesia sempre maggiore: “Maledizione, Ruth, ma quali sali hai usato?”
“I più freschi e profumati, signore”
“E allora che cos' è questa puzza? Significa che non mi hai lavato bene. Credevo che tu fossi la più brava, ma forse non è così. Ora esci, va'!”
Io mi inchinai ed ero fuori dalla sua stanza.
Mandai Ester, ma anche lei e poi tutte le altre furono cacciate. Il mio padrone gridava: “Ma è possibile che nessuna riesca a lavarmi con decenza e a togliermi di dosso questo schifo che sento sulla carne?”. Toccava a me tornare dentro e cercare di nuovo di lavar via questa rabbia.
Prima di tornare ai miei servizi guardai fuori nella corte di casa, pensavo a quello che era successo, alla crudezza di quel sole mattutino in cui le speranze di una casa erano andate perdute. In quel giorno tutti avevamo camminato fino alla spianata desertica con le vesti nere, la testa ricoperta di polvere. Poi erano seguiti quattro giorni di silenzio bianco, fino a quando un uomo venne dal villaggio e ci disse che qualcuno andava verso la piana e camminava come chi ha fretta.
“Scusami, Ruth, - disse il mio padrone quando rientrai - per il mio scatto d'ira, ma non so cosa pensare, né immagino i vostri pensieri. Tutto è avvolto per me in una profonda nullità. Io, Ruth, non ho sentito niente, neanche il minimo spavento. Semplicemente non ero più”
“Mio signore, – dissi quasi a porre fine a quella confessione - desideri fare il bagno? La padrona Marta mi ha detto che dobbiamo fare in fretta, sarai l'ospite d'onore e ... – aggiunsi con titubanza - ci sarà anche lui”
“Lui! Lui! - il padrone si alzò di scatto come se volesse buttare a terra ogni cosa - Lui!”. Poi urlò: “Cosa mi hai fatto? A quale dannazione mi hai condannato?”. Strinse i pugni con forza, mi parlò nuovamente: “Ti rendi conto, Ruth, del potere funesto di quest'uomo? Avvicinati, senti il mio odore”
“Ma padrone, io non posso...”
“Ruth, te lo ordino e tu non mi puoi disobbedire”
Mi avvicinai. “Padrone, tu profumi – dissi - significa che le altre serve sono state più brave di me”.
“Ruth, – e rise, dicendolo - se io annuso questa carne, sento un puzzo nauseante, che non riesco a togliermi di dosso. So la nostra comune condanna”. Qui si fermò e riprese una voce più quieta: “Ruth, sei tu che devi perdonare il tuo padrone, che ti tedia con queste riflessioni grame, mentre per te è giorno di gioia”
“Signore, io sono confusa, quello che è successo va oltre l'immaginazione di un’umile serva”
http://www.sacripante.it/006/ideefisse/2.asp