22 luglio 2006

Sabato pomeriggio

12,30 sveglia. Nessun programma, tutto è saltato. Milano, il concerto. Non ho fatto altri programmi. Fede è al mare dai suoi, Castiglioncello. Sarebbe stato un bel weekend di mare in famiglia. La Dona è in ferie e avrei potuto prendere il suo posto, sorella minore per un giorno. Solo un’incallita figlia unica può pensare una cosa del genere. Non ne ho avuto voglia, con questo caldo sono apatica, non ho voglia di fare niente, figuriamoci mettersi in macchina e guidare sulla FIPILI interrotta da mille lavori ed affollata da troppe macchine in coda, nonseneparlaprorpio. Anche la Susy andava al mare, a Carbonifera, non so dov’é ma dal nome sembra un bel posto. Sarebbe stato carino, partivano in tarda mattinata… tre donne a zonzo fino a notte sulla costa, e poi lei è una ganza, mi piace un sacco, ha sempre l’aria di essere a suo agio ovunque, tacco dodici o ciabattina, ponderata, riflessiva ma godereccia. Sarà per la prossima volta. Oramai è tardi e non l’ho avvisata. Opto per un pomeriggio in casa, magari stasera esco, a prendere una boccata d’aria. Faccio colazione. Frigo vuoto, solo the freddo e biscotti. Confermo via sms alla Veri la mia presenza per la serata, programmi? cinema all’aperto, bene. Avrei avuto voglia di un po’ più di vita ma adoro il cinema all’aperto, mi piace fumare davanti al grande schermo, è come se mi inquadrassi di spalle, io, il fumo e lo schermo. Metto un po’ di ordine in questa casa, raccolgo X paia di scarpe. Sulla porta due paia di scarpe, tacco nero, bianco di polvere di giovedì sera e scarpa rossa di vernice, vintage anni 50, di ieri sera. Al tavolo di cucina le infradito di pelle marrone con le pietre, ieri durante il giorno. Ai piedi dell’armadio delle scarpe, le zeppe di corda con il fiore rosso, della settimana, affiancate dalle ciabattine verdi. In camera l’ultimo arrivo, ancora in busta, birk's miaaao e le infradito di gomma. Benedette scarpe, mai al loro posto! Cerco sistematicità nelle operazioni. Un minimo seppur parziale risultato lo raggiungo. Chiudo tutto. Finestre, rotolanti, condizionatore o ventilatore. Accettabile. Non mi piace come condizione, la casa ermetica. Sembra uno di quei pomeriggi da vacanze estive in cui mia mamma tutelava la casa dalla calura in questo modo, disponendo ad una siesta obbligata anche me. Ma forse oggi è proprio quello che mi ci vuole. Ho due sfide da raccogliere. Parto dalla più semplice. Tondelli. Sembra essere una forte mancanza non averlo letto, ma più che altro ho la vaga imprensione che possa piacermi. Ho leggiucchiato velocemente qualcosa su google. Morto di Aids, di solito è sintomo di una vita spesa in modo “forte”. Ho troppi libri in casa per non averne uno. E poi non sarà certo il caldo a fermarmi. Di libri in casa ne ho anche troppi, alcuni non so nemmeno di averli. Collane da quotidiano belle da vedersi per le copertine cromaticamente coordinate ma... ti conducono in casa emeriti sconosciuti a cui dai attenzione distratta. Eccolo. Rimini. Lo apro. Una mappa. Ah! Un volume attento alle mie esigenze. Io ho bisogno di visualizzare le informazioni geografiche. Non sono capace di apprenderle altrimenti. Quanti libri sono sformati da piante di fortuna inglobate con la lettura?! Lo sbatto in poltrona. Aspetterà. Intanto c’é.
Pranzo. Cavolo che fame. In effetti ho mangiato ben 4 biscotti a colazione, dovevo averne da prima. Ieri devo aver proprio mangiato poco. Anche volendo, le portate non erano un gran ché. Certo, quello non è un posto dove si fa per riempirsi la pancia o leccarsi le dita. È un locale per cene in gruppo, con spettacolo e discoteca, detto tutto no? Addio al nubilato di Alice. Tutto compreso, da manuale. Regalini, torta fallica, scherzetti. Serata lunga, lunghissima. Margherita mi ha guardato, ha fatto aprire un’altra bottiglia, “bevi Sonia bevi”. Sono situazioni imbarazzanti, ti senti in dovere di tenere un determinato comportamento, come se si festeggiasse solo in quel modo, anche se ti è del tutto estraneo come comportamento. E lo era anche a Lei, la sposa. Mi metto anche nei panni delle amiche che si sentono di prodigarsi per rispettare quei cliché. L’importante è averla fatta contenta, è stata al gioco e… è stata la cosa più bella di tutta la sera. “Bella di quella bellezza acerba, bionda senza averne l’aria…”, serena e forse, inconsciamente consapevole di se stessa, volenterosa di famiglia e vita di coppia.
Pranzo. Cous cous con verdure e curry, carote crude e formaggio. Telegiornale e caffè.
Inizia il tormentone della sigaretta. Ne ho una sola. Da ieri, non l’ho comprate… che dire, dopo quell’epilogo di sera l’adrenalina mi era salita e scesa in un lampo, allentandomi i muscoli e paralizzandomi in un sonno lungo 10 ore. Ho fumato l’ultima sigaretta in pista “fumo l’ultima e andiamo”. Qualcuno va al mare il sabato mattina ed è necessario partire presto, quindi alle 1,30 decidiamo di andare. Salendo le scale del locale verso l’anticipata uscita, mi sono accorta di non avere con me le chiavi della macchina. In un flash mi sono vista scendere dalla macchina, arrivata per prima al punto di ritrovo, “mentre aspetto fumo un cicchino”. Di solito guido, caso strano ha preso la macchina Margherita. La mia è rimasta lì, finestrino aperto, chiavi infilate e con quelle di casa nella tasca laterale. Salgo dietro, muta. Margherita mugula “guardiamo di fare presto”. Parte, 80 all’ora sul viale di Bellariva. Penso “ma guida sempre così? No, lo fa per arrivare prima alla macchina. Tanto orami o c’è o non c’é. Non vale mica la pena ammazzarsi”. Mi vedo già alla stazione dei carabinieri vicino a casa dei miei, nel tentativo di spiegare all’addormentato esponente dell’arma la mia incuria. Avviarmi a piedi verso casa dei miei e chiedere ospitalità. Come dirla allo Squillo. Poretti, che figlia sciagurata. Le miei vocine si battibecca “Digli di rallentare. No, Marghi vai, vai.. non ce la faccio più con quest’angoscia, sarà sempre lì?”. All’ultima rotonda, prima del possibile avvistamento, indecisione: guardare o no? Poverine toccherebbe a loro dirmi che non c’é.. guardo per risparmiargli questo ingrato compito. 90 gradi 180, 270 ci immettiamo nel viale, Margherita: “C’è! Sonia c’é…” inversione l’accostiamo, ci scaraventiamo di sotto, c’è tutto, nell’ordine, auto, chiavi nel cruscotto, apro anche le chiavi di casa. Ahhh! Ci abbracciamo, saltiamo... respiriamo! Montiamo in macchina io e Lionella e ripartiamo verso casa, la guida è pacata, non sembro nemmeno io. Riprendiamo la nostra conversazione sulla Romania che ci aveva condotte al parcheggio dell’incauto abbandono.
Non ho avuto la forza di comprare le sigarette, ne ieri ne stamani. Ne ho una. Una persona normale la fumerebbe e basta. Io ho rinunciato da tempo a credermi normale e penso al momento migliore per fumare l’ultima sigaretta. Quasi non esistessero più tabaccai. Se ne sono susseguiti tanti di momenti adatti ma nessuno è diventato il migliore. Dopo il primo caffè, qualcosa m’ha distratto, quel messaggio “vorrei essere nei suoi pensieri, complimenti al fotografo, ha saputo cogliere l’essenza del soggetto”. Il fotografo sono io e il soggetto sei tu. Ero io nei tuoi pensieri allora, penso, é per questo che ho saputo cogliere l’essenza, ne ero parte anch’io. Sei tornato, stai bene, questo è importante. A questo giro ho scordato di averlo già preso, il caffè, e non di doverlo prendere come è già accaduto. Ha alzato la tazzina ed era vuota, ho guardato bene il rivolo d’avanzo, ho cercato il gusto nel palato, ma non l’ho trovato.
Il momento giusto per fumare poteva essere alla prima pagina del libro di Tondelli, dopo la gustosa prefazione, quando ho riletto due volte il primo paragrafo ed ho capito che poteva veramente piacermi. A dire il vero lì c’avrei aggiunto anche qualcosa, alla cicca.
Oppure, poteva essere il momento giusto, quando, forte del rifugio del mio letto, ho deciso di raccogliere la seconda sfida, pensare, riflettere a quello che è accaduto e a mosso qualcosa dentro di me. Dopo cinque minuti di gambe incrociate e schiena diritta ho deciso di passare alla tastiera. Fermare i pensieri e non lasciarli andare. Scriverli. Raccontarli. Legittimarli agl’occhi di tutti.
Il secondo caffè ha dato l’avvio a queste parole ma non alla cicca. È lì, nel pacchetto abbandonato sulla cucina. Ho ripreso a fumare da poco tempo, da aprile. Era 4 anni che avevo smesso. Tornai a stare con i miei, loro non fumavano, mi imposi una vita più salutista, il 7 gennaio del 2002 andai a correre al parco e fui vistosamente doppiata da un anziano signore con tanto di buco post operazione alla gola. La cosa più facile da tagliare era la sigaretta, la zavorra ancora la tengo. Questo aprile ho ripreso. Mi sono sempre vantata di non esserne dipendente ma di poter scegliere la sigaretta per gusto e non per abitudine. Ma il gesto è subdolo; ti si insinua, gestisce il tuo tempo, creandoti la pausa, il relax, la compagnia. Alcune sigarette fumate si rivelano disgustose, altre volano via e nemmeno te ne accorgi. Spesso penso che è l’ora di smettere di nuovo e molte volte mi sono detta è l’ultimo pacchetto. Poi ho sentito bisogno di fumare, di avere quel gesto a disposizione e non mi voglio negare nienti, figuriamoci un gesto così da poco.
Gesti. Niente da negare. Giovedì, è partito tutto giovedì. Ho letto una cosa in rete, non ricordo nemmeno in quale contesto, qualche sito legato allo yoga, qualche perla di saggezza indiana. Diceva più o meno così “se qualcosa ti mette paura cerca di conoscerla meglio, se c’è qualcosa che non ti piace fare, affrontala, …”. Io è un pezzo che ho intrapreso questa sfida con me stessa… mettermi in competizione é il modo più sicuro per lanciarmi, da chi avrò preso tutta questa competitività?! Il mio programma per quella sera prevedeva una cena con un gruppo di amici dello scorso anno. Avevo incontrato Moreno una sera, che appunto aveva aperto una gara “tanto lo so che non ci consideri più, ti si invita sempre alle cene e non vieni mai…” “ ma no, è che questo inverno non sono stata bene, non potevo mangiare latticini… alla prossima vengo, domani mando un messaggio alle Martine e alla prossima ci sono, promesso!”. Una settimana fa l’sms “giovedì cena piscina” “ci sarò!”. Detto fatto, nemmeno la presenza del nostro Ministro degl’esteri m’ha frenato. A meno di un chilometro dal punto di ritrovo, i dubbi, parte la vocina timida “ma si ricorderanno di me? Cosa gli racconto? E se hanno cambiato data?” per fortuna la parte più testona dice “hai detto che ci sarai e ci sarai”. In quei secondi avrei potuto fare inversione e tornare a casa a mettere la testa tra le pagine di un libri, la mia sabbia. Non l’ho fatto per fortuna! Sono scesa di macchina ed ho sentito “non ci posso credere… guarda chi c’è!”. Ho cancellato un anno intero di brutte esperienze con quelle parole e confermo quello che penso da un po’: è con le belle esperienze che si cresce bene, non è affatto vero che solo con quelle brutte si matura. Cicchino che accompagna l’adunata, saluti e presentazioni e poi partenza per fortuna con la mia macchina, lì non penso che l’avrei ritrovata. 4 donne in macchina, una soffre pure il mal di mare e la mia guida non aiuta. Mi impegno nelle curve, conversiamo piacevolmente di cinema. Gusti affini e non è semplice, i mattoni più pesi li abbiamo visti tutte e quattro, non è semplice trovare quattro persone che hanno visto “la storia del cammello che piange”. Partite per prime arriviamo per ultime. Poco male, prendiamo posto. Ci mettiamo in fila come dal dottore e io mi ritrovo a chiudere, verso il gruppo che non conosco. Penso: "cazzo che sfiga si preannuncia una sera di sorrisi e sigarette". Moreno mi salva, mi riporta all’altro capo del capo, davanti a lui e Daniele e stavolta alla testa della fila delle donne delle mia macchina. La conversazione si scioglie piano piano, aiutata dalle zanzare, il lago, i concerti ecc. prendiamo una confidenza che in tanti anni che ci conosciamo non abbiamo mai raggiunto e voglio spezzare una freccia a nostro favore non è stato nemmeno il vino, centellinato dalla parte bassa del tavolo. Arriviamo a parlare di matrimonio, argomento scottante. Ci scopriamo: Francesca, alias Martina per la serata, è sposata da qualche anno, soddisfatta; la vera Martina sta preparando casa con il suo boy ma evita di sposarsi per non entrare sulle spese, Fabri alias Il mister, tra un giudizi sprezzante e l’altro, ci racconta che la su’ donna si vorrebbe sposare ma lui no, “tanto i’che cambia” “appunto se per te non cambia nulla fai di lei una donna onesta!”; Daniele è separato ma è un padre che regala il concerto degli U2 al figlio 12enne, spettacolo! Tutto questo è il consolidato è sempre stato così. Il nuovo: Moreno s’è lasciato dalla convivente, una storia importante, capisco. Poi vengo io, tutti pensavano che fossi felicemente convivente da anni. Ora capisco perché in tutti questi anni non ho raccattato nulla?! A parte gli scherzi, svelo le mie carte e do il via ad una serie di domande sulla vita da single e su i miei pensieri in relazione al matrimonio e alla separazione. “Lasciarsi? Succede, ci sono momenti in cui non vuoi più le stesse cose, magari non si capisce nemmeno cosa si vuole ma si percepisce che i due percorsi non collimano. In tal caso, o si è capaci di crescere insieme e di fare lo stesso percorso altrimenti, è inevitabile la separazione. Dura, eccome! Col tempo si supera tutto, si ritrova la propria integrità e si sceglie i propri percorsi. Poi il matrimonio? Io ora mi sposerei, mi manca la materia prima ma se trovassi la persona giusta non mi tirerei indietro. È un contratto, sentirsi di farlo dà forza all’unione”. Ecco, io e una mosca bianca eravamo la stessa cosa ai miei occhi. "Perché devo sempre appesantire la conversazione?" Ma il caso a voluto che non sia andata così, la serata ha preso corpo e confidenza. Ho mostrato quello che sono e quello che penso senza velate considerazioni sugli interlocutori che avevo davanti. Sono stata apprezzata per quello che sono, o almeno hanno avuto il buon gusto di non palesare il contrario ;-) Parlavamo di una località poco distante e i miei punti di riferimento sono sempre un pò particolari, mica la seconda uscita dal raccordo autostradale, no?! La descrivo come la parte del parco sotto il cimitero dove gli alberi sono ancora piccoli… e qualcuno l’ha notato “ocche riferimenti strani che hai?! Raccontaci un po’ di altri posti scusa.. sentiamo…” “ che ci vuoi fare sono fatta così, un po’ particolare”. Poi ridendo e scerzando è caduto lì un “sei splendida”, niente di particolare ma sono quelle piccole cose che ti permettono di fare il passo successivo e lasciarti andare. E così è stato. Tutta la sera ci ha accompagnato una selezione di disco dance anni 80 e post caffè ci siamo lanciati in una pista deserta a ballare il lento del Tempo delle mele. La sera è volata, ballando, saltando, fumando sulle poltroncine a guardare le stelle… qualche domanda ancora sulla condizione di single... verificherò se devo seguire una profillassi per questa malattia. L’ho interpretato come una necessità di acquisire informazioni, un po’ come quando ti informi dai compagni di corso più grandi su quale proff sia meglio per fare l’esame. E qui è scattato il mio istinto da crocerossina, che però non ha trovato terreno sgombro, c’era il mio egoismo che teneva a freno le sue parole “eh no! Ora basta, chelicoglisututtite?!” “ ma se mi sbaglio invece? È stato carino… potrebbe cercare solo disinteressata amicizia” “seee, omini, oquandomai?!”. Lo scontro massimo crocerossina/istinto egoistico c’è stato quando m’ha chiesto il numero di telefono. Un secondo, come un attacco nucleare.
Una ulteriore vittoria a favore della libertà di essere rispetto ai miei preconcetti, l’ho vinta tornando a casa. "Com’è successo che mi sono convinta che fumare mi fa dare di stomaco?! quello è Mao non io?!" Magari non mi piace particolarmente ma ammettiamo quello che é.
Sono traballati diversi mattoni del mio fortino, qualche paletto del paletto del mio recinto. Sono contenta, è l’ora di buttarla giù questa cortina, magari un pezzo alla volta, sempre con la dovuta cautela. La mattina dopo si vede che sei stata in battaglia, eccome. La cosa bella è sentirsi autorizzata alla stanchezza, hai fatto un bel lavoro.

La leggerezza si acquista con il tempo, riflettendo sulla pesantezza.
Conoscendosi, apprezzandosi, accettandosi e non cercando l’adeguatezza a tutti i costi.
I gesti tutto questo lo raccontano, gli sguardi lo evidenziano.
Adesso posso fumare.