Vendemmia di segnali, per questo venerdì sera senza luna, anticipatore dell’autunno.
In una sala a dir poco, alternativamente elitaria, proiettano “Il Grande Silenzio”, quel film girato nel convento di cui tanto si é parlato quest’inverno. Come mancare. Ho provato ad adescare qualcuno, ma senza troppa convinzione, mi piace mantenermi gli amici. Parto sola, dopo Mantova, m’aspetta Firenze.
Adoro questa macchina, ha una ripresa esagerata. Non la risparmio fin dall’uscita sotto casa, per fortuna che i bambini non giocano a quest’ora. Da sola mi diverto con quell’acceleratore. Mi piace buttarmi nel traffico e sgusciare come in motorino.
Finalmente ho rintracciato quel pezzo con cui “l’avvocato” mi ha stregato in Piazza del Duomo a Siena questo luglio. Le parole sono minime, ma il pezzo incanta, orientale quanto basta a far pensare a luna e narghilè. “Max era Max più tranquillo che mai, la sua lucidità… Smettila, Max, la tua facilità non semplifica, Max. Max non si spiega, fammi scendere, Max vedo un segreto avvicinati qui, Max”. Poi parte quel morbido velluto di note che non si dimentica, e sale, Max. Caso a voluto che sia la prima e anche la seconda canzone del cd fatto oggi. Chiamo la Madama per condividere la scoperta e poi punto il repeat. Parcheggio e l’aria fresca mi ricorda la ricetta della serenità, il sorriso. Lungo il breve tratto di viale a piedi, una coppia davanti ad un albergo, la signora ha un bouquet in mano, gerbere rosa, mi ricambia il sorriso. Il bigliettaio mi guarda e aspetta. Io: -Uno, grazie. –Studente? - Si, da lungo tempo, ma non ho niente che l’attesti. - Non importa, anch’io lo sono stato per molto.
Vedi a volte la vita! Entro, poche persone, un gruppo di suore?! Occhecifannoalcine?! Che ci fai te a vedere il film sul convento, sciocchina… Io e la Balenciaga, ci accomodiamo. Per fortuna qui sembra abitudine venire al cine da soli, solo un paio fanno la classica mossa di girarsi in modo disinvolto, buttano casualmente lo sguardo e lo ritraggono, poi ci ritornano subito, quasi fossi merce rara. Guardo i soggetti qui radunati, che selezione! Cinquantenni a ragionar di menopausa e carriera, una signora disabile accompagnata da una giovane coppia, due ragazze da quinta liceo e in arrivo la classica coppia alternativa, vegetariana magari, con la tipa che riesce ad abbinare i due colori più smorti in una sola maglietta, blu e color carne, lui barba lunga e clark rotte. Ed io in mezzo a loro. Quando deciderò di accettare la mia appartenenza a questo gruppo di emarginati dalla società contemporanea? Mai probabilmente. Per fortuna quest’ispezione è interrotta da tre baldi giovani, e caso strano uno è pure carino, che presentano il film. Vedi bravi!
È una sfida con il mio fisico, la serata. Come spesso accade, tiro fino all’ultimo le mie forze. Ho dormito solo quattro ore la sera prima e la giornata a lavoro m’ha visto zampettare a destra e manca. Il film dura ben 3 ore ed è quasi privo di dialoghi. Le poltrone sono sufficientemente comode ma non troppo. Il regista, Philip Gröning, ha atteso ben 15 anni di poter girare nel grande convento di Chartreuse, vicino Grenoble, sulle Alpi francesi. Dice che come risposta ebbe, 15 anni dopo la domanda, “siamo pronti”. Bello. Sintomo evidente del tema "tempo". Un tempo indiano per ritornare sulle mie fissazioni, un tempo lontano da quello degl’uomini, un tempo che trascendente la vita e arriva alla percezione del divino. In questo l’aiuto fondamentale è dato dal voto del silenzio. Non più parole udite. La voce è canto e omelia. Le comunicazioni sono ridotte esclusivamente a parole scritte. Tino grosso per la vendemmia stasera!! Unica via di comunicazione il testo, questo sia tra i monaci per le faccende quotidiane, sia con il regista che ha vissuto in condizioni monastiche per quattro mesi, filmando solo e senza ausilio di luce artificiale, musica o commento. Verrebbe da pensare ad un film muto, ma non è affatto così. I suoni di ogni singolo oggetto, strumento, persona sono valorizzati e musicati dalla combinazioni di suggestive inquadrature. Nella prima parte, la grana è dilatata come attraverso una garza grezza, filtrata per entrare in quella dimensione distante, dove l’umano diventa parte di un principio divino. Poi l’immagine torna limpida e descrive con accurata dedizione la vita monastica, con meticolosa attenzione ai tempi. Qui svanisce la finzione cinematografica e subentra la necessità di documentare il valore del tempo nelle azioni quotidiane dei monaci. Qui silenzio è attenzione, meticolosa e leggera concentrazione su ogni attività, dal taglio del tessuto, dove la forbice cigola nel taglio su lunga distanza e cinguetta via veloce sul taglio corto, alla misura del ciocco di legna dimensionato per entrare dentro la panca. Poi i volti di quest’uomini, giovani e vecchi, bianche e neri. Parole che intervallano i fotogrammi “il Signore mi ha sedotto, mi sono lasciato sedurre dal Signore” e ancora “i nostri rituali sono segni, i segni sono incerti e noi siamo l’incertezza dei nostri segni”. Annata buona il 2006!
Questo è il taglio del film ed è stupendo. Le cascaggini non mi risparmiano ma durano lampi e nel riemergere c’è sempre qualche entusiasmante sorpresa. Come l’immagine di cerchi concentrici generati da perpetue gocce di pioggia, trattengo un muto grido labiale, ohhhh! Tre ore. Non c’è solo il sonno, c’è lo stomaco, ma per fortuna non solo il mio, anche la signora dietro! è noto a tutti in sala che mi sono scordata di cenare, per questo Grande Silenzio. Digiuna ma con un the e… quanto odio alzarmi al cinema per andare al bagno… uff! le conto sulle dita della mano le poche volte che l’ho dovuto fare. Resisto per la toilette ma devo sgranchire le caviglie, pace se scampanella la cavigliera, sincronizzo con le campane del monastero.
L’edificio del convento è enorme, bellissimo, lo inquadra spesso incorniciato dai monti e vi fa scorrere sopra il cielo dal giorno alla notte, dall’estate all’inverno. La neve e la fanciullezza. A chiusura film il registra intervista il frate cieco: parla, una formula di compensazione dei sensi. Parte nuovamente la presentazione e il film si richiude sull’immagine di partenza, l’orecchio di un monaco in preghiera.
Si riaccendono le luci, per queste insulse esigenze fisiologiche, scatta la ricerca del gabinetto! Mi guardo allo specchio e meglio non mi potevo mimetizzare, sembro una personcina pia, con i capelli miracolosamente lisci, raccolti sempre miracolosamente in modo ordinato, lo scollo a barca che non ne vuol sapere di mostrare le spalle e castigatamente mi sta al collo. Incosciente camaleonte. Tanto ne sono felice, di quest'aria devota, che ahhhhh!! non riesco a uscire, classico attacco di panico da porta di cesso.
Fuori aria fresca, si cammina piacevolmente ma dove? il viale è breve. Provvidenzialmente al semaforo un tipo che era alla proiezione, mi sorride:
- Bel film vero? - Molto bello. - Peccato io mi sono perso una diecina di minuti abbondanti.
Prima che mi chieda spiegazioni attacco: - … eh anch’io, come si fa dopo una giornata di lavoro, infatti non sono riuscita a capire come mai dormono in terra a quella funzione?
Domanda criptica che lo svia sul farmene altre. È anche un tipo carino, piacevole, cosa stranamente rispetto per i miei soliti incontri. È un signore, si presenta pure: - Piacere S.A., non é più tempo di cineforum. Io donna d'altri tempi, lui sicuramente è gay. Caso ha voluto che abbiamo parcheggiato vicino. Ci salutiamo augurandoci di vederci per la prossima proiezione, uhm!
Riprendo la 206 e Paolo Conte, inversione a u al semaforo, finestrino aperto e via. Qui la capacità di ripresa della macchina è fondamentale, schivare i puttanieri all’attacco sui viale è primaria necessità. Il ritorno a casa è una triste constatazione dell’accettata integrazione tra residenze e commercio del sesso.
Nell’ultima dirittura verso casa, tocco i 110 e penso che lo Squillo è di turno domani, non sarebbe per niente carino farlo venire a lavorare anche di venerdì oltre che di sabato, scalo e alzo il volume. Incomincio a pensare come se scrivessi, siamo prossimi a livelli d’overdose. Ma non ho sonno, Morfeo è latitante. Pensare che gli rimanevo tanto simpatica, una volta. Speriamo di non arrivare al canto del gallo anche stamani. La Portoghese divideva il mondo in allodole e cicale, e io di sicuro preferisco l’estate e la notte. Giorni contati per le cicale, domani é l’equinozio d’autunno.
In una sala a dir poco, alternativamente elitaria, proiettano “Il Grande Silenzio”, quel film girato nel convento di cui tanto si é parlato quest’inverno. Come mancare. Ho provato ad adescare qualcuno, ma senza troppa convinzione, mi piace mantenermi gli amici. Parto sola, dopo Mantova, m’aspetta Firenze.
Adoro questa macchina, ha una ripresa esagerata. Non la risparmio fin dall’uscita sotto casa, per fortuna che i bambini non giocano a quest’ora. Da sola mi diverto con quell’acceleratore. Mi piace buttarmi nel traffico e sgusciare come in motorino.
Finalmente ho rintracciato quel pezzo con cui “l’avvocato” mi ha stregato in Piazza del Duomo a Siena questo luglio. Le parole sono minime, ma il pezzo incanta, orientale quanto basta a far pensare a luna e narghilè. “Max era Max più tranquillo che mai, la sua lucidità… Smettila, Max, la tua facilità non semplifica, Max. Max non si spiega, fammi scendere, Max vedo un segreto avvicinati qui, Max”. Poi parte quel morbido velluto di note che non si dimentica, e sale, Max. Caso a voluto che sia la prima e anche la seconda canzone del cd fatto oggi. Chiamo la Madama per condividere la scoperta e poi punto il repeat. Parcheggio e l’aria fresca mi ricorda la ricetta della serenità, il sorriso. Lungo il breve tratto di viale a piedi, una coppia davanti ad un albergo, la signora ha un bouquet in mano, gerbere rosa, mi ricambia il sorriso. Il bigliettaio mi guarda e aspetta. Io: -Uno, grazie. –Studente? - Si, da lungo tempo, ma non ho niente che l’attesti. - Non importa, anch’io lo sono stato per molto.
Vedi a volte la vita! Entro, poche persone, un gruppo di suore?! Occhecifannoalcine?! Che ci fai te a vedere il film sul convento, sciocchina… Io e la Balenciaga, ci accomodiamo. Per fortuna qui sembra abitudine venire al cine da soli, solo un paio fanno la classica mossa di girarsi in modo disinvolto, buttano casualmente lo sguardo e lo ritraggono, poi ci ritornano subito, quasi fossi merce rara. Guardo i soggetti qui radunati, che selezione! Cinquantenni a ragionar di menopausa e carriera, una signora disabile accompagnata da una giovane coppia, due ragazze da quinta liceo e in arrivo la classica coppia alternativa, vegetariana magari, con la tipa che riesce ad abbinare i due colori più smorti in una sola maglietta, blu e color carne, lui barba lunga e clark rotte. Ed io in mezzo a loro. Quando deciderò di accettare la mia appartenenza a questo gruppo di emarginati dalla società contemporanea? Mai probabilmente. Per fortuna quest’ispezione è interrotta da tre baldi giovani, e caso strano uno è pure carino, che presentano il film. Vedi bravi!
È una sfida con il mio fisico, la serata. Come spesso accade, tiro fino all’ultimo le mie forze. Ho dormito solo quattro ore la sera prima e la giornata a lavoro m’ha visto zampettare a destra e manca. Il film dura ben 3 ore ed è quasi privo di dialoghi. Le poltrone sono sufficientemente comode ma non troppo. Il regista, Philip Gröning, ha atteso ben 15 anni di poter girare nel grande convento di Chartreuse, vicino Grenoble, sulle Alpi francesi. Dice che come risposta ebbe, 15 anni dopo la domanda, “siamo pronti”. Bello. Sintomo evidente del tema "tempo". Un tempo indiano per ritornare sulle mie fissazioni, un tempo lontano da quello degl’uomini, un tempo che trascendente la vita e arriva alla percezione del divino. In questo l’aiuto fondamentale è dato dal voto del silenzio. Non più parole udite. La voce è canto e omelia. Le comunicazioni sono ridotte esclusivamente a parole scritte. Tino grosso per la vendemmia stasera!! Unica via di comunicazione il testo, questo sia tra i monaci per le faccende quotidiane, sia con il regista che ha vissuto in condizioni monastiche per quattro mesi, filmando solo e senza ausilio di luce artificiale, musica o commento. Verrebbe da pensare ad un film muto, ma non è affatto così. I suoni di ogni singolo oggetto, strumento, persona sono valorizzati e musicati dalla combinazioni di suggestive inquadrature. Nella prima parte, la grana è dilatata come attraverso una garza grezza, filtrata per entrare in quella dimensione distante, dove l’umano diventa parte di un principio divino. Poi l’immagine torna limpida e descrive con accurata dedizione la vita monastica, con meticolosa attenzione ai tempi. Qui svanisce la finzione cinematografica e subentra la necessità di documentare il valore del tempo nelle azioni quotidiane dei monaci. Qui silenzio è attenzione, meticolosa e leggera concentrazione su ogni attività, dal taglio del tessuto, dove la forbice cigola nel taglio su lunga distanza e cinguetta via veloce sul taglio corto, alla misura del ciocco di legna dimensionato per entrare dentro la panca. Poi i volti di quest’uomini, giovani e vecchi, bianche e neri. Parole che intervallano i fotogrammi “il Signore mi ha sedotto, mi sono lasciato sedurre dal Signore” e ancora “i nostri rituali sono segni, i segni sono incerti e noi siamo l’incertezza dei nostri segni”. Annata buona il 2006!
Questo è il taglio del film ed è stupendo. Le cascaggini non mi risparmiano ma durano lampi e nel riemergere c’è sempre qualche entusiasmante sorpresa. Come l’immagine di cerchi concentrici generati da perpetue gocce di pioggia, trattengo un muto grido labiale, ohhhh! Tre ore. Non c’è solo il sonno, c’è lo stomaco, ma per fortuna non solo il mio, anche la signora dietro! è noto a tutti in sala che mi sono scordata di cenare, per questo Grande Silenzio. Digiuna ma con un the e… quanto odio alzarmi al cinema per andare al bagno… uff! le conto sulle dita della mano le poche volte che l’ho dovuto fare. Resisto per la toilette ma devo sgranchire le caviglie, pace se scampanella la cavigliera, sincronizzo con le campane del monastero.
L’edificio del convento è enorme, bellissimo, lo inquadra spesso incorniciato dai monti e vi fa scorrere sopra il cielo dal giorno alla notte, dall’estate all’inverno. La neve e la fanciullezza. A chiusura film il registra intervista il frate cieco: parla, una formula di compensazione dei sensi. Parte nuovamente la presentazione e il film si richiude sull’immagine di partenza, l’orecchio di un monaco in preghiera.
Si riaccendono le luci, per queste insulse esigenze fisiologiche, scatta la ricerca del gabinetto! Mi guardo allo specchio e meglio non mi potevo mimetizzare, sembro una personcina pia, con i capelli miracolosamente lisci, raccolti sempre miracolosamente in modo ordinato, lo scollo a barca che non ne vuol sapere di mostrare le spalle e castigatamente mi sta al collo. Incosciente camaleonte. Tanto ne sono felice, di quest'aria devota, che ahhhhh!! non riesco a uscire, classico attacco di panico da porta di cesso.
Fuori aria fresca, si cammina piacevolmente ma dove? il viale è breve. Provvidenzialmente al semaforo un tipo che era alla proiezione, mi sorride:
- Bel film vero? - Molto bello. - Peccato io mi sono perso una diecina di minuti abbondanti.
Prima che mi chieda spiegazioni attacco: - … eh anch’io, come si fa dopo una giornata di lavoro, infatti non sono riuscita a capire come mai dormono in terra a quella funzione?
Domanda criptica che lo svia sul farmene altre. È anche un tipo carino, piacevole, cosa stranamente rispetto per i miei soliti incontri. È un signore, si presenta pure: - Piacere S.A., non é più tempo di cineforum. Io donna d'altri tempi, lui sicuramente è gay. Caso ha voluto che abbiamo parcheggiato vicino. Ci salutiamo augurandoci di vederci per la prossima proiezione, uhm!
Riprendo la 206 e Paolo Conte, inversione a u al semaforo, finestrino aperto e via. Qui la capacità di ripresa della macchina è fondamentale, schivare i puttanieri all’attacco sui viale è primaria necessità. Il ritorno a casa è una triste constatazione dell’accettata integrazione tra residenze e commercio del sesso.
Nell’ultima dirittura verso casa, tocco i 110 e penso che lo Squillo è di turno domani, non sarebbe per niente carino farlo venire a lavorare anche di venerdì oltre che di sabato, scalo e alzo il volume. Incomincio a pensare come se scrivessi, siamo prossimi a livelli d’overdose. Ma non ho sonno, Morfeo è latitante. Pensare che gli rimanevo tanto simpatica, una volta. Speriamo di non arrivare al canto del gallo anche stamani. La Portoghese divideva il mondo in allodole e cicale, e io di sicuro preferisco l’estate e la notte. Giorni contati per le cicale, domani é l’equinozio d’autunno.