18 agosto. Non c’è fregatura. Non sono in grado di dire se prima o poi arriverà in questo viaggio, ma di sicuro non è a Khajuraho. Unica nota fuori pentagramma il sole, che oggi è stato proprio latitante. Ma come fargliene una colpa, qui a risplendere sono già troppe cose.
In albergo siamo raccolti dalla nostra guida “santone”, barba lunga, sorriso ammaliante, una catena con su l’immagine di Osho. Inutile dire che il folto gruppo di donne “sveglie” cade ai suoi piedi. Guru contro Guru. Gioca bene le sue carte e accentua subito la caratteristica di Khajuraho: l’energia. Il sito fù scelto dall’antica dinastia rajput di Chandela proprio per questo motivo. Conosce momenti di gloria tra il X e il XIII secolo, con i gloriosi templi a soggetto erotico. Erano molti di più, circa un’ottantina. Adesso ne rimangono meno suddivisi in due aree, quella ad ovest, che visiteremo stamani presidiata dalla famosa “bigliettaia di Khajuraho”, e quella a sud, più sguarnita. La mia Routard dice che questi templi furono scoperti dagli inglesi nel XIX sec., magari sono quelli di “Passaggio in India”?! La mia preparazione al viaggio ha visto anche un paio di film selezionati a tema… la protagonista rimane sconvolta dall’emozioni che questa terra suscita, segnale?! Radunati tutti partiamo, bussino e via, in 5 minuti. La città è un ammasso di case su fronte stradale, senza riferimenti di sana e robusta costituzione urbana, esattamente come una nostro agglomerato urbano degli anni ’60/70 attorno a una strada di percorrenza, una sorta di Quarrata o Bottegone. Quello che mostra è solo la facciata per turisti.
Come per tutto ciò che é “famoso”, anche per le sculture erotiche di Khajuraho, io ho diffidenza. Ho imparato la lezione, però, e vigilo, in attesa di contraddire le mie pessime aspettative. Davanti all’ingresso ci recupera Tiziana, che era andata avanti con Yoghi, il tuttofare dell’albergo. Amabilmente mi avvicina e non sapendo come smerciarla, mi offre la bevanda più tremenda che le miei papille abbiano mai assaggiato: “lassi alla fragola”, dentifricio per bambini diluito. Osceno. Bevo, constato e la guardo negli occhi. Sono allibita. Ecco la serpe in seno che covavo, come si può offrire una tale porcheria?! Prima che la favella ricomparisse, sciolta la lingua da quell’angosciante sapore, lei sgrana gli occhi e si scusa, gli era stato offerto e che non sapeva come liberarsene. E già, lo bevo io allora?! Perché reduce da un giro in moto nel traffico indiano, ed io sono buona, la perdono e chiedo un recuperato bellico di gomma da masticare, qualcuno ancora le custodisce gelosamente, di provenienza italiana.
Biiiiglietti!! Ma nessuna signorina, eh! altro flop del lucertolone?! Il sole qui proprio ci abbandona e arrivano anche qualche goccia d’acqua. È un vero peccato, il sito è spettacolare. Molto inglese, con pratini rasati di fresco dove alberi chiomosi incorniciano i diversi templi del gruppo ovest. Primo il Varaha Temple, Vahara è il terzo avatar di Vishnu, nelle sembianze di cinghiale… ecco di nuovo la casta maiale!! Ma il fine di questo divino ungulato è nobile, stanare con il fiuto Aditi, la dea terra, sua moglie seppellita dal demonio, uccidendo il cattivo. Ammmore ovunque a Khajuraho! Per condurci al tempio successivo, niente bel vialetto circondato da aiole, il nostro santone vede bene di farci passare per le fresche frasche. Speriamo bene. Tutto questo per condurci al Lakshmana Temple. Vi arriviamo dal basso e qui rimaniamo. Costeggiamo un alto basamento fregiato… ahhh ora capisco, sono qui le prime scene erotiche! Ehhh, bene! vedo che il concetto della reincarnazione anche in animali, li libera da pudori di pratiche di sesso misto! Due ipocriti voyeur si celano il viso con le mani aperte per poter “ non osservare”… Poi la parata militare e… ehh povero cavallo! Il tempio è molto ben mantenuto, il fregio si “normalizza”, ritmo elegante di elefanti armoniosi. In alto, belle figure di donna dai seni sferici, tonde boccie da biliardo applicati a sinuosi corpi dagli occhi aguzzi e vivaci. Maliziose nella loro apparente sottomisione, queste divine apsara, queste danzatrici figlie di Oceano, compiono la loro missione di distrarre gli asceti. Sono per lo più, con un fremito d’anca, appoggiate su un fianco per togliersi una spina dal piede o per stiracchiarsi al risveglio dalle fatiche d’amore. La malizia è sfacciata a Khajuraho, necessità virtù per la pratica dell’amore condiviso. Condividere e partecipare è proprio quello che pensa l’elefante del fregio basso, che si volta ad osservare una coppia in dolci faccende affaccendata.
Troviamo anche Ganesha, estraneo ai riti d’amore. Con il suo corpo sgraziato metà elefante metà uomo è l’emblema dello “sfigato” che si è saputo riscattare con la simpatia. Figlio di Shiva e Parvati é lui che, sotto dettatura di Vyasa, scrive la Baghavaghita (forse l'intero Mahabarata ora mi svugge), spezzandosi una zanna per sostituire la penna smarrita. Altre storie una mette in ballo anche la mia amica luna, Chandra. Ganesha è il patrono delle lettere e della saggezza. Certo con quella figura sgraziata, panciuta, la testa d’elefante, per di più che come veicolo ha un topino… di sicuro non poteva essere il responsabile del “rimorchio”. Il mito racconta che fù messo da Parvati a guardia della riservatezza delle sue abluzioni, ma Shiva, il materico, preso da impellente desiderio della moglie, pur di entrare per possederla, mozzò il capo al figlio sostituendolo con quello del pachiderma. Amore di padre! Le sculture dei fregi continuano il loro da fare, dalle coppie si passa ai triangolo, dal triangolo ai quadrangoli, evvia evvia evvia…
Però?! peccato che non ci sia il sole… Certo qui di canoni policletiani non ne hanno proprio sentito parlare. Ma come siamo limitativi nella nostra conoscenza, nel nostro sapere. Passi una vita sui libri, (non io vero, ma qualcuno si) senza spostarti mai dal Mediterraneo, sembra che oltre alla cultura greca e romana non ci sia più niente… e arrivi a pensare che solo quello sia il mondo. Puoi addirittura credere che la culla dell’umanità sia davvero quella in cui vivi. Il tuo spicchio di mondo è tutto il mondo. Poi un giorno passi da qui e un neurone si accende.
Il più imponente dei templi di quest’area ci guarda e ci aspetta, Kandariya Mahadev Temple. Ha una shikhara altissima, le decorazioni sono diverse, dei ricami circolari. Gli arriviamo ai lati e un gruppo scultoreo in particolare ci attrae, un uomo che soddisfa ben tre donne. La nostra guida, “maschio”, si affretta a precisare, difendendo così il buon nome degli inadempienti, che tale prestazione è impossibile, una menzogna, una licenza artistica dello scultore. La figura maschile è a testa in giù e questo rende impossibile l’erezione. Scientifico. Capito, finché è comodo si parla d’energia… Quindi, se trovate tre donne disposte a ciò, non ci provate e… voi donne riducete le vostre aspettative, si può mai sapere!? Quante esigenze anche essere soddisfatte?!
Mentre ci avviamo all’uscita, ho la brillante idea di chiedere al santone se è possibile fare una lezione di yoga o una meditazione. La volpe, non si lascia scappare una tale occasione e tira su di colpo l’esca. “Certo cara, qualche altra amica non è interessata?!” Anche la più allocca delle prede, ovvero la sottoscritta, annusa puzza di bruciato e parte a sua volta nel reclutamento di ommmini. Costituiamo un gruppo folto: 2 uomini e 4 donne. Fissiamo per il pomeriggio. E pensare che ho fatto di tutto fino ad ora per evitare i seguaci di Osho, guarda te dove mi sono infilata con le miei mani?!
All’uscita niente bigliettaia. Ahi ahi ahi. Povero lucertolone. Partenza per i templi della zona sud, ma l’ambiente non è allo stesso livello. Il tempo è pessimo, sostiamo un po’ ma ritorniamo rapidamente in albergo per udite udite, il pranzo?! Niente banane, niente ovo sodo, che dispiacere! Un tramezzo di shopping e la goduria è completa. Agata verde, sembra questo il mio destino, “verde rinascita” dice qualcuno… tutto è verde dei miei ultimi acquisti, agata verde ovunque: la collana di corda di seta, gli orecchini, l’anello, e il vestito… Appello al gruppo: “qualcuno mi tiene in consegna la carta di credito fino a Milano?!” Pranzo, collocazione scelta presso la grande finestra per veder piovere e gambine sotto il tavolo. Woww! Pomeriggio libero, novità interessante ma anche disorientante. Cosa fare del tempo se non andare per templi, città, negozi o autobus? Doccia, chiacchiere, lettura, cicchini liberi sulle poltroncine dell’hotel, godiamocela questa riconquistata possibilità di intossicare il tuo vicino di poltrona!
Alle 16 in punto ecco ‘ibarba che ci viene a prendere con la sua auto, non entriamo tutto il folto gruppo e qualcuno, io tra quelli, ha il piacere di prendere un taxi, un taxi veroooooo!!! Non un tuc tuc!! Una vera AMBY! Un ambassador, una macchinina bianca bombata come quella dei fumetti di topolino, con le tendine ai finestrini! Non mi sarei perdonata di andare via dall’India senza salire sulla sua auto nazionale, una nostra cinquecento per capirsi. Cosa che invece ho fatto con le decorazioni henne per mani e piedi…
Hotel Zen, questa è la nostra destinazione. Abbiamo il piacere di conoscere un luogo very very Hindù. Passiamo davanti alla reception, attraverso un cortile e quasi dentro la cucina, per arrivare ad una camera da letto in un interrato. Piccola stanza 4x3 con letto matrimoniale. Meno male che l’ho detto anche ai ragazzi! Attendiamo. Qualcuno chiede “ma chi ha avuto quest’idea?!”. Uhmmm. Osservo tutte le crepe nel muro, una ad una. Beccata! Arrivano diverse persone, stendono a terra dei teli e arriva anche l’Oshoguru con stereo portatile e cd per la meditazione. … e sai che figata, il cd ce l’abbiamo tutti! Ci disponiamo a terra e una volta spiegata la banale gestualità parte la musica insieme al perenne sciaquettare dello scarico del gabinetto accanto. Le borse appese sopra di noi sono un pensiero sempre vigile nella mia disincantata attenzione per questo individuo. Insomma, un senso sempre aperto e rivolti alla nostra energia. Il santone poteva anche non esserci, eravamo, gli altri componenti del gruppo non me ne vorranno, la “crema” del team viaggio e, guru o non guru, le belle presenze si sentono. Una volta ripresi dall’intorpidimento, anche solo le gambe incrociate per 40 minuti?! Scansiamo i gioielli/pentola del santone e anche il te che ci offre in giardino, che di zen non aveva proprio nulla. Sembrava di più il retro di una comune della sinistra intransigente o alternativa che dir si voglia. Due cose che scanso, la sinistra alternativa e Osho, di solito.
Torniamo in albergo a piedi, aria finalmente! Facciamo ancora un po’ di shopping, kaja, cardamomo e anice, rotolini per Varanasi che ci aspetta a breve, camel&camel! E poi ancora un vestito, bianco stavolta, da uomo. Colletto coreano, diritto ai fianchi, pantaloni con l’elastico. Gli indiani sono perfettamente eleganti con questi semplici abiti di cotone, io magari no, ma tanto non serve la carta di credito… Il ragazzo ci prende le misure, io, Beppe e Anna, saremmo muniti di un abito nuovo colore del lutto per affrontare Varanasi, la città sacra in cui ogni Hindù desidera morire. Il Gange domani ci aspetta.
L’ultimo tragitto ci ritroviamo io e Luca sotto la pioggia, su un ciglio della strada terroso, a scansare case provvisorie e mucche incazzate. La teoria collaudata per consolarci di attirare questi animali sacri è quella di considerarci loro simili, non in quanto vacche, non in quanto ruminanti ma scusate se è poco.. in quanto sacri! Eh ditemi se il monsone non da alla testa?!
La serata scorre lenta, non saper cosa fare non è semplice dopo i ritmi che abbiamo sostenuto fino ad ora. «La noia la noia la noia, io non ci sto’ più…» cantava Vasco. Bene, in questi alberghi a 5 stelle, l’acqua calda é saltellante come connessione di una linea analogica in un giorno di pioggia di stampo indiano. In questo albergo, la cena è l’unico vero diversivo. Mangiamo, fumiamo, manca la caffeina e la sniappa ma siamo a posto. Qualcuno si assenta per la capatina fisiologica al piano di sopra e scocca “l’ora di religione”. Stasera serata magica, l’ultima puntata: “la fine dei Pandava”, della serie Dallas mifanapippa. Sconvolto l’assetto delle poltrone della hall ci mettiamo tutti attorno a Massimo. Sul fianco sinistro ha Ganesha provvisto di incenso sul sinistro, io. C’è da sperare che non si veda troppo l’affinità di pancia… Sono da riconosce al lucertolone grandi capacità narrative, smorza il mito con paragoni tratti dal contemporaneo, roba da casta maiale insomma, ma che rende e riporta la complessità del narrato, ad una dimensione vacanziera. È capace di sottrarci attenzione a lungo, grazie a quell’emozione che lui stesso vive raccontandoci degli aneddoti mitologici che nascondono verità sulla vita e la natura umana.
Stasera è l’apice di tutto, stasera l’emozione esplode. (mi venga concessa possibilità di errore su quanto riportato sotto)
Tutto questo potrebbe essere una dignitosa conclusione di serata, l’emozione è forte. Ma in India niente sembra mai abbastanza.
Parte una riflessione sul significato delle sculture erotiche che abbiamo visto oggi.
Le Guide affrontano l’argomento con largo beneficio di dubbio. Potrebbero essere una sorta di “manuale illustrato” per educare una nuova generazione di uomini, che causa ricambio generazionale non sapevano come fare. Seguendo questo principio ora sarebbero da graffitare gran parte dei muri disponibili, ma la mia è futile polemica. Oppure, l’altra ipotesi le vede come illustrazioni di questo “tantra” di cui tanto si parla, anche se solo in relazione all’erezione prolungata di Sting. Il tantrismo è una cosa molto complessa, non riguarda solo gli aspetti veicolati agli occidentali. È un complesso di rituali, mitologie e filosofie di carattere etico ed esoterico, sviluppatosi partendo dal sistemi induisti. Si basa sull’affermazione dell’identità assoluta tra spirito e materia, tra jivatman e paramatman, tra anima individuale e anima universale, raggiunta mediante l’unione, lo yoga, tra linga e yoni, tra maschile e femminile. Potremmo perciò affermare, con una proporzione ardita, che le opere erotiche di Khajuraho stanno al tantrismo come le Storie della Genesi sul Duomo di Modena del nostro Wiligelmo, stanno al cristianesimo.
Si aggiunge però una terza ipotesi, e qui mi prendo beneficio d’interpretazione. La considerazione del sesso come un atto che, anche se da vita a bassi istinti, é parte della realizzazione del proprio dharma, quando e se praticato da una persona “liberata”, che agisce seguendo la natura e l’istinto, nella consapevolezza di non nuocere a nessuno.
Un’idea precisa sul perché queste sculture sono state realizzate non me la sono fatta … e a dire il vero, nemmeno mi interessa. Posso anche essere d’accordo sull’accettabilità di dar libero sfogo a bassi istinti se non nuociono a nessuno e divertono altri. Ma vedo poca relazione con l’apprezzabilità dell’opera scultore in se, non ho bisogno di spiegarmela, trovargli per forza un significato, che il più delle volte è applicato dai posteri. Le forme, il colore e il volume sono da sempre le uniche emozioni dalle quali non esigo spiegazioni. Le sento e mi basta.
In albergo siamo raccolti dalla nostra guida “santone”, barba lunga, sorriso ammaliante, una catena con su l’immagine di Osho. Inutile dire che il folto gruppo di donne “sveglie” cade ai suoi piedi. Guru contro Guru. Gioca bene le sue carte e accentua subito la caratteristica di Khajuraho: l’energia. Il sito fù scelto dall’antica dinastia rajput di Chandela proprio per questo motivo. Conosce momenti di gloria tra il X e il XIII secolo, con i gloriosi templi a soggetto erotico. Erano molti di più, circa un’ottantina. Adesso ne rimangono meno suddivisi in due aree, quella ad ovest, che visiteremo stamani presidiata dalla famosa “bigliettaia di Khajuraho”, e quella a sud, più sguarnita. La mia Routard dice che questi templi furono scoperti dagli inglesi nel XIX sec., magari sono quelli di “Passaggio in India”?! La mia preparazione al viaggio ha visto anche un paio di film selezionati a tema… la protagonista rimane sconvolta dall’emozioni che questa terra suscita, segnale?! Radunati tutti partiamo, bussino e via, in 5 minuti. La città è un ammasso di case su fronte stradale, senza riferimenti di sana e robusta costituzione urbana, esattamente come una nostro agglomerato urbano degli anni ’60/70 attorno a una strada di percorrenza, una sorta di Quarrata o Bottegone. Quello che mostra è solo la facciata per turisti.
Come per tutto ciò che é “famoso”, anche per le sculture erotiche di Khajuraho, io ho diffidenza. Ho imparato la lezione, però, e vigilo, in attesa di contraddire le mie pessime aspettative. Davanti all’ingresso ci recupera Tiziana, che era andata avanti con Yoghi, il tuttofare dell’albergo. Amabilmente mi avvicina e non sapendo come smerciarla, mi offre la bevanda più tremenda che le miei papille abbiano mai assaggiato: “lassi alla fragola”, dentifricio per bambini diluito. Osceno. Bevo, constato e la guardo negli occhi. Sono allibita. Ecco la serpe in seno che covavo, come si può offrire una tale porcheria?! Prima che la favella ricomparisse, sciolta la lingua da quell’angosciante sapore, lei sgrana gli occhi e si scusa, gli era stato offerto e che non sapeva come liberarsene. E già, lo bevo io allora?! Perché reduce da un giro in moto nel traffico indiano, ed io sono buona, la perdono e chiedo un recuperato bellico di gomma da masticare, qualcuno ancora le custodisce gelosamente, di provenienza italiana.
Biiiiglietti!! Ma nessuna signorina, eh! altro flop del lucertolone?! Il sole qui proprio ci abbandona e arrivano anche qualche goccia d’acqua. È un vero peccato, il sito è spettacolare. Molto inglese, con pratini rasati di fresco dove alberi chiomosi incorniciano i diversi templi del gruppo ovest. Primo il Varaha Temple, Vahara è il terzo avatar di Vishnu, nelle sembianze di cinghiale… ecco di nuovo la casta maiale!! Ma il fine di questo divino ungulato è nobile, stanare con il fiuto Aditi, la dea terra, sua moglie seppellita dal demonio, uccidendo il cattivo. Ammmore ovunque a Khajuraho! Per condurci al tempio successivo, niente bel vialetto circondato da aiole, il nostro santone vede bene di farci passare per le fresche frasche. Speriamo bene. Tutto questo per condurci al Lakshmana Temple. Vi arriviamo dal basso e qui rimaniamo. Costeggiamo un alto basamento fregiato… ahhh ora capisco, sono qui le prime scene erotiche! Ehhh, bene! vedo che il concetto della reincarnazione anche in animali, li libera da pudori di pratiche di sesso misto! Due ipocriti voyeur si celano il viso con le mani aperte per poter “ non osservare”… Poi la parata militare e… ehh povero cavallo! Il tempio è molto ben mantenuto, il fregio si “normalizza”, ritmo elegante di elefanti armoniosi. In alto, belle figure di donna dai seni sferici, tonde boccie da biliardo applicati a sinuosi corpi dagli occhi aguzzi e vivaci. Maliziose nella loro apparente sottomisione, queste divine apsara, queste danzatrici figlie di Oceano, compiono la loro missione di distrarre gli asceti. Sono per lo più, con un fremito d’anca, appoggiate su un fianco per togliersi una spina dal piede o per stiracchiarsi al risveglio dalle fatiche d’amore. La malizia è sfacciata a Khajuraho, necessità virtù per la pratica dell’amore condiviso. Condividere e partecipare è proprio quello che pensa l’elefante del fregio basso, che si volta ad osservare una coppia in dolci faccende affaccendata.
Troviamo anche Ganesha, estraneo ai riti d’amore. Con il suo corpo sgraziato metà elefante metà uomo è l’emblema dello “sfigato” che si è saputo riscattare con la simpatia. Figlio di Shiva e Parvati é lui che, sotto dettatura di Vyasa, scrive la Baghavaghita (forse l'intero Mahabarata ora mi svugge), spezzandosi una zanna per sostituire la penna smarrita. Altre storie una mette in ballo anche la mia amica luna, Chandra. Ganesha è il patrono delle lettere e della saggezza. Certo con quella figura sgraziata, panciuta, la testa d’elefante, per di più che come veicolo ha un topino… di sicuro non poteva essere il responsabile del “rimorchio”. Il mito racconta che fù messo da Parvati a guardia della riservatezza delle sue abluzioni, ma Shiva, il materico, preso da impellente desiderio della moglie, pur di entrare per possederla, mozzò il capo al figlio sostituendolo con quello del pachiderma. Amore di padre! Le sculture dei fregi continuano il loro da fare, dalle coppie si passa ai triangolo, dal triangolo ai quadrangoli, evvia evvia evvia…
Però?! peccato che non ci sia il sole… Certo qui di canoni policletiani non ne hanno proprio sentito parlare. Ma come siamo limitativi nella nostra conoscenza, nel nostro sapere. Passi una vita sui libri, (non io vero, ma qualcuno si) senza spostarti mai dal Mediterraneo, sembra che oltre alla cultura greca e romana non ci sia più niente… e arrivi a pensare che solo quello sia il mondo. Puoi addirittura credere che la culla dell’umanità sia davvero quella in cui vivi. Il tuo spicchio di mondo è tutto il mondo. Poi un giorno passi da qui e un neurone si accende.
Il più imponente dei templi di quest’area ci guarda e ci aspetta, Kandariya Mahadev Temple. Ha una shikhara altissima, le decorazioni sono diverse, dei ricami circolari. Gli arriviamo ai lati e un gruppo scultoreo in particolare ci attrae, un uomo che soddisfa ben tre donne. La nostra guida, “maschio”, si affretta a precisare, difendendo così il buon nome degli inadempienti, che tale prestazione è impossibile, una menzogna, una licenza artistica dello scultore. La figura maschile è a testa in giù e questo rende impossibile l’erezione. Scientifico. Capito, finché è comodo si parla d’energia… Quindi, se trovate tre donne disposte a ciò, non ci provate e… voi donne riducete le vostre aspettative, si può mai sapere!? Quante esigenze anche essere soddisfatte?!
Mentre ci avviamo all’uscita, ho la brillante idea di chiedere al santone se è possibile fare una lezione di yoga o una meditazione. La volpe, non si lascia scappare una tale occasione e tira su di colpo l’esca. “Certo cara, qualche altra amica non è interessata?!” Anche la più allocca delle prede, ovvero la sottoscritta, annusa puzza di bruciato e parte a sua volta nel reclutamento di ommmini. Costituiamo un gruppo folto: 2 uomini e 4 donne. Fissiamo per il pomeriggio. E pensare che ho fatto di tutto fino ad ora per evitare i seguaci di Osho, guarda te dove mi sono infilata con le miei mani?!
All’uscita niente bigliettaia. Ahi ahi ahi. Povero lucertolone. Partenza per i templi della zona sud, ma l’ambiente non è allo stesso livello. Il tempo è pessimo, sostiamo un po’ ma ritorniamo rapidamente in albergo per udite udite, il pranzo?! Niente banane, niente ovo sodo, che dispiacere! Un tramezzo di shopping e la goduria è completa. Agata verde, sembra questo il mio destino, “verde rinascita” dice qualcuno… tutto è verde dei miei ultimi acquisti, agata verde ovunque: la collana di corda di seta, gli orecchini, l’anello, e il vestito… Appello al gruppo: “qualcuno mi tiene in consegna la carta di credito fino a Milano?!” Pranzo, collocazione scelta presso la grande finestra per veder piovere e gambine sotto il tavolo. Woww! Pomeriggio libero, novità interessante ma anche disorientante. Cosa fare del tempo se non andare per templi, città, negozi o autobus? Doccia, chiacchiere, lettura, cicchini liberi sulle poltroncine dell’hotel, godiamocela questa riconquistata possibilità di intossicare il tuo vicino di poltrona!
Alle 16 in punto ecco ‘ibarba che ci viene a prendere con la sua auto, non entriamo tutto il folto gruppo e qualcuno, io tra quelli, ha il piacere di prendere un taxi, un taxi veroooooo!!! Non un tuc tuc!! Una vera AMBY! Un ambassador, una macchinina bianca bombata come quella dei fumetti di topolino, con le tendine ai finestrini! Non mi sarei perdonata di andare via dall’India senza salire sulla sua auto nazionale, una nostra cinquecento per capirsi. Cosa che invece ho fatto con le decorazioni henne per mani e piedi…
Hotel Zen, questa è la nostra destinazione. Abbiamo il piacere di conoscere un luogo very very Hindù. Passiamo davanti alla reception, attraverso un cortile e quasi dentro la cucina, per arrivare ad una camera da letto in un interrato. Piccola stanza 4x3 con letto matrimoniale. Meno male che l’ho detto anche ai ragazzi! Attendiamo. Qualcuno chiede “ma chi ha avuto quest’idea?!”. Uhmmm. Osservo tutte le crepe nel muro, una ad una. Beccata! Arrivano diverse persone, stendono a terra dei teli e arriva anche l’Oshoguru con stereo portatile e cd per la meditazione. … e sai che figata, il cd ce l’abbiamo tutti! Ci disponiamo a terra e una volta spiegata la banale gestualità parte la musica insieme al perenne sciaquettare dello scarico del gabinetto accanto. Le borse appese sopra di noi sono un pensiero sempre vigile nella mia disincantata attenzione per questo individuo. Insomma, un senso sempre aperto e rivolti alla nostra energia. Il santone poteva anche non esserci, eravamo, gli altri componenti del gruppo non me ne vorranno, la “crema” del team viaggio e, guru o non guru, le belle presenze si sentono. Una volta ripresi dall’intorpidimento, anche solo le gambe incrociate per 40 minuti?! Scansiamo i gioielli/pentola del santone e anche il te che ci offre in giardino, che di zen non aveva proprio nulla. Sembrava di più il retro di una comune della sinistra intransigente o alternativa che dir si voglia. Due cose che scanso, la sinistra alternativa e Osho, di solito.
Torniamo in albergo a piedi, aria finalmente! Facciamo ancora un po’ di shopping, kaja, cardamomo e anice, rotolini per Varanasi che ci aspetta a breve, camel&camel! E poi ancora un vestito, bianco stavolta, da uomo. Colletto coreano, diritto ai fianchi, pantaloni con l’elastico. Gli indiani sono perfettamente eleganti con questi semplici abiti di cotone, io magari no, ma tanto non serve la carta di credito… Il ragazzo ci prende le misure, io, Beppe e Anna, saremmo muniti di un abito nuovo colore del lutto per affrontare Varanasi, la città sacra in cui ogni Hindù desidera morire. Il Gange domani ci aspetta.
L’ultimo tragitto ci ritroviamo io e Luca sotto la pioggia, su un ciglio della strada terroso, a scansare case provvisorie e mucche incazzate. La teoria collaudata per consolarci di attirare questi animali sacri è quella di considerarci loro simili, non in quanto vacche, non in quanto ruminanti ma scusate se è poco.. in quanto sacri! Eh ditemi se il monsone non da alla testa?!
La serata scorre lenta, non saper cosa fare non è semplice dopo i ritmi che abbiamo sostenuto fino ad ora. «La noia la noia la noia, io non ci sto’ più…» cantava Vasco. Bene, in questi alberghi a 5 stelle, l’acqua calda é saltellante come connessione di una linea analogica in un giorno di pioggia di stampo indiano. In questo albergo, la cena è l’unico vero diversivo. Mangiamo, fumiamo, manca la caffeina e la sniappa ma siamo a posto. Qualcuno si assenta per la capatina fisiologica al piano di sopra e scocca “l’ora di religione”. Stasera serata magica, l’ultima puntata: “la fine dei Pandava”, della serie Dallas mifanapippa. Sconvolto l’assetto delle poltrone della hall ci mettiamo tutti attorno a Massimo. Sul fianco sinistro ha Ganesha provvisto di incenso sul sinistro, io. C’è da sperare che non si veda troppo l’affinità di pancia… Sono da riconosce al lucertolone grandi capacità narrative, smorza il mito con paragoni tratti dal contemporaneo, roba da casta maiale insomma, ma che rende e riporta la complessità del narrato, ad una dimensione vacanziera. È capace di sottrarci attenzione a lungo, grazie a quell’emozione che lui stesso vive raccontandoci degli aneddoti mitologici che nascondono verità sulla vita e la natura umana.
Stasera è l’apice di tutto, stasera l’emozione esplode. (mi venga concessa possibilità di errore su quanto riportato sotto)
“C’è un cane, con i Pandava, alla fine della Ghita. Yudhishthira, primogenito dei cinque figli di Padu, il più saggio, principe della giustizia, è l’unico ad aver diritto a salire sull’astronave che lo condurrà, per meriti, al cospetto di Dio. Si rifiuterà di farlo senza il cane, senza i fratelli e l’unica moglie che si dividevano in cinque. Quel misero cane che era stato con loro nella fase finale del loro pellegrinante esilio non poteva mancare. Mai buono proposito fù più sensato, quel cane era Krishna che lo condusse, ancora vivo, alla porta dell’Inferno. Il giusto Yudhishtira si stupì nel trovarvi i suoi fratelli e non i cugini cattivi, i Kaurava, che contrariamente disponevano in paradiso. Perché tutto questo? Perché il corpo, la materia, non è in grado di comprendere tutto, l’integrità delle cose. Solo lo spirito può comprendere il vero e reale senso della natura, degli avvenimenti. Quindi solo da morto Yudhishtira sarà in grado di vedere i suoi fratelli in paradiso e gli avversari all’inferno.”
Tutto questo potrebbe essere una dignitosa conclusione di serata, l’emozione è forte. Ma in India niente sembra mai abbastanza.
Parte una riflessione sul significato delle sculture erotiche che abbiamo visto oggi.
Le Guide affrontano l’argomento con largo beneficio di dubbio. Potrebbero essere una sorta di “manuale illustrato” per educare una nuova generazione di uomini, che causa ricambio generazionale non sapevano come fare. Seguendo questo principio ora sarebbero da graffitare gran parte dei muri disponibili, ma la mia è futile polemica. Oppure, l’altra ipotesi le vede come illustrazioni di questo “tantra” di cui tanto si parla, anche se solo in relazione all’erezione prolungata di Sting. Il tantrismo è una cosa molto complessa, non riguarda solo gli aspetti veicolati agli occidentali. È un complesso di rituali, mitologie e filosofie di carattere etico ed esoterico, sviluppatosi partendo dal sistemi induisti. Si basa sull’affermazione dell’identità assoluta tra spirito e materia, tra jivatman e paramatman, tra anima individuale e anima universale, raggiunta mediante l’unione, lo yoga, tra linga e yoni, tra maschile e femminile. Potremmo perciò affermare, con una proporzione ardita, che le opere erotiche di Khajuraho stanno al tantrismo come le Storie della Genesi sul Duomo di Modena del nostro Wiligelmo, stanno al cristianesimo.
Si aggiunge però una terza ipotesi, e qui mi prendo beneficio d’interpretazione. La considerazione del sesso come un atto che, anche se da vita a bassi istinti, é parte della realizzazione del proprio dharma, quando e se praticato da una persona “liberata”, che agisce seguendo la natura e l’istinto, nella consapevolezza di non nuocere a nessuno.
Un’idea precisa sul perché queste sculture sono state realizzate non me la sono fatta … e a dire il vero, nemmeno mi interessa. Posso anche essere d’accordo sull’accettabilità di dar libero sfogo a bassi istinti se non nuociono a nessuno e divertono altri. Ma vedo poca relazione con l’apprezzabilità dell’opera scultore in se, non ho bisogno di spiegarmela, trovargli per forza un significato, che il più delle volte è applicato dai posteri. Le forme, il colore e il volume sono da sempre le uniche emozioni dalle quali non esigo spiegazioni. Le sento e mi basta.