13 settembre 2006

UN FILO D'INDIA. Taj Mahal, canto d'amore.

14 agosto. Oggi è il giorno di valico, da domani saremo nella seconda metà della vacanza. Ma non c’è tempo necessario per pensarlo, ne tanto meno per ricordarsi che giorno sia. Stamani colazione anticipata alle 6.30. Anche per gli indiani non è facile alzarsi presto. Siamo arrivati in sala colazione prima dei camerieri. Che tempi che hanno, fanno una cosa alla volta, portano un pezzo per volta, “dire dire”. Ci siamo anche fatti fare il “lassi” stamani, è un yogurt leggero, annacquato e molto dolce, gonfio come un frappé. Lassi suona come lassativo, e in effetti aiuta. Non che, fra tutti, se ne abbia bisogno, d’aiuto ad andare... Le nostre modalità di evacuazione sono argomento frequente e affrontato senza remore o pudori. Come succede in tutti i cambiamenti d’aria no? Oramai ci siamo abituati alla diversità della nostra cacca. Sempre a proposito di coadiuvanti all’espletamento delle funzioni primarie, stamani non ho nemmeno fumato, forse era troppo presto, forse incomincio ad allontanare la sigaretta. Non sono mai stata una gran fumatrice, nel senso che sono più una occasionale che costante nella dedizione al vizio del tabacco, però qui mi serve fumare, regola e rilassa. Riconosco che accendere un cicchino è un momento per staccare la testa, da tutto, dalle troppe ore di bus, dai ritmi giapponesi con i quali azzanniamo templi e palazzi e anche dalla “troppa India”.

La giornata “senza peo”, ha come prima tappa il tempio sorto sul luogo di nascita di Krishna, di cui non ricordo il nome esatto. Ci siamo arrivati con due jeep che ci hanno portato fino a 50 mt. dall’ingresso attraversando un paesaggio estraneo fino ad allora, fatto di villette unifamiliari molto simili alle nostre ma con incrostazioni decorative tipicamente indiane. La numerosa polizia disseminata strategicamente attorno al tempio contribuisce alla precoce alienazione della mattina. Davanti all’ingresso, una gincana di cordoni per gestire le file e poi metal detector separati, lady and man. Tre poliziotte sorridenti ci accolgono. MA?! Queste poliziotte indiane danno delle sensibili palpate ai seni?! …fortunatamente ho trovato conferma negli occhi delle mie compagne di viaggio, non hanno lasciato sconvolta solo me. Procediamo scalzi sul pavimento umido della guazza notturna. Gradini, un primo ambiente a corridoio, di nuovo all’esterno, altra stanza fino alla grotta di Krishna. Non riesco ancora ad apprezzare il tipo di raffigurazione quasi naif e l’arredo degli ambienti. È come se non avessero il gusto dell’eleganza dei luoghi, della raffinatezza dei complementi d’arredo. Cerco di spiegarmi. L’eleganza indiana è spontanea, naturale, è l’eleganza delle donne con le loro vesti dai colori decisi e contrastanti, stridenti ma armoniosi, dei loro lineamenti marcati, dei gioielli grossi ma non spocchiosi. Nei luoghi, anche in questo particolarmente importante (tanto da pensare ad un arma di distruzione di massa dentro seni occidentali) vince il contatto umano sulla sacra, distante, eleganza. Per noi sarebbe impensabile mettere un nastro dorato natalizio su di un crocifisso o alla cornice di una madonna. Nelle nostre chiese c’è attenzione all’arredo dei paramenti, candele o fiori. Lì vince la spontaneità del contatto con la grande folla, un po’ come con gli ex voto. In questa stanza dalle pareti con colori scuri, alcune persone sono sedute in terra a leggere e pregare, ed è appena le 7.30. Tra questi un ragazzino che ad occhio e croce avrà 14 anni, e tiene in mano uno di quei libri orizzontali. È strana la forma di questi libri religiosi, sono rilegati sul lato più corto, dei rettangoloni scritti fitti fitti. Da qui siamo andate alla sala grande, vi si accede con una gradinata e al centro, evidente, individuiamo la cella dell’idolo. Le pareti e il soffitto sono affrescate con scene della vita dell’ottava incarnazione di Vishnu. Ci perdiamo con Massimo della decifrazione degli avvenimenti illustrati: l’amrita, la gola blu, le “Gopi” pastorelle con cui l’adone dalla faccia blu amoreggia, anche se ne preferisce una sola, Radha. Da questi bucolici avvenimenti parte la dissertazione erudita del nostro accompagnatore su trascendere il piacere, sopire il desiderio e godere senza bramare di farlo. Io c’ho capito poco, ammetto che più ci penso e più mi annodo in compenso abbiamo però collezionato il primo ritardo della giornata! Di corsa verso l’albergo, gli altri, quelli sensati, quelli che… la mattina preferiscono dormire che andar per templi, ci aspettano per le 9! Si sarebbe stati anche in orario se davanti a noi un camion non si fosse arenato su una montagna di rena, appunto. Il camionista padrone del mezzo, doveva avere un culto divergente sia al vishnuismo sia shivaismo, uno zapatismo probabilmente. Aveva appeso alla cabina del camion all’altezza della targa, con una catena, come un prezioso ciondolo, una scarpa da uomo, chiusa, risuolata. Seguace di Zapata, e io con la mia mania delle scarpe lo capisco pure, oppure una sorta di porta fortuna, un numero uno, come il primo dollaro di paperondepaperoni.

Arrivati, ritroviamo il nostro vecchio bus con una tiepida aria condizionata che con tre ore di strada, quasi occidentale, ci porta ad Agra. È uno dei luoghi più frequentati dai turisti e sembra che lo sport più diffuso, almeno così dicono le guide, sia quello di spennarli. L’avvicinamento a questa settima meraviglia del mondo è assai complesso: scendiamo dal nostro pulman per infilare in un parcheggio e di nuovo in un altro bussino, il difficile è nello schivare e trattare con i venditori di tutto un po'. Il bussino ci lascia cmq lontano dall’ingresso e sotto il sole. Abbiamo dovuto lasciarvi tutto sopra, zaini, borse, acqua, dentro non si può portare niente per motivi di sicurezza. Ingresso solo con la macchina fotografica, meglio così. Ci consegnano mezzo litro d’acqua, abbeveraggio base contro la disidratazione. Eh! li sentono anche loro i 40 gradi! Ancora guardie, ah! ci ripalpano! Allora oggi sono decisi a far risvegliare i miei ormoni sopiti!
Già dall’ingresso si ha l’impressione di ordine e pulizia, il viale con prato all’inglese e portici si apre in un crocevia che riconduce i 3 ingressi verso un monumentale “ivan”, un monumentale arco di ingresso in arenaria rossa. Ecco! ci siamo, si è creato un forte senso di attesa e... prima sala di ingresso, trattengo lo sguardo che però fugge, da questa oscurità del buio preambolo verso il candore del monumento. Mentirei a dire che questa frenesia fosse genuinamente prodotta da sane aspettative sull’opera. Rispecchiando quella che è la mia indole malfidata e sempre pronta a difendermi da esagerate aspettative, non confidavo che l’opera fosse all’altezza delle descrizioni. Massimo la descriveva come su di un altro alto livello rispetto a quello che avevamo già visto, Susanna mi aveva addirittura detto che vi si respirava “amore”. Senza togliere nulla alle loro opinioni, le consideravo esagerate, o diciamo che avevo paura di crederci… quale luogo respira o fa respirare? Sarà, pensavo, un candido pezzettone di marmo, geometricamente ben distribuito, armonioso nelle proporzioni, teatralmente disposto a far palpitare il cuore di entusiasti viaggiatori.
Azz se sbagliavo. Ma questo lo si percepisce dentro, solo dentro, quando spogli di ogni prevenuta concezione, effettuato il percorso diritto attraverso un paradisiaco giardino, si è condotti in alto, all’interno del suo cuore. Il cuore di Shan Jahan, l’imperatore che lo fece costruire per la moglie morta di parto al quattordicesimo figlio. Dentro la sala circolare è magica nella sua ombra. Circumnavighi l’alto parapetto di jali che proteggono le tombe e ti viene voglia di cantare, voglia di sentire delle voci femminili litaniche e melodiose. Non ho ascoltato una parola di quello che diceva la nostra guida. Ho seguito ed intonato i versi che mi arrivavano da lontano, sorridendo agli spiragli di sole che mordevano il fresco dell’interno dalle fenditure perimetrali. Non ha senso per un fiorentino ammirare il marmo di Carrara o le decorazioni preziose intagliate di pietre dure. Ha senso, a mio presuntuoso parere, sentire, gustare e lasciarsi coccolare da quel canto d’amore che l’imperatore ha lasciato suonare per sempre alla sua amata. Questo è il Taj Mahal, questo rimarrà nel mio cuore.
Dovrebbero proibire l’accesso ai diabetici per così tanta dolcezza oppure allegare alla dotazione del mezzo litro d’acqua una dose appropriata di insulina.
Non contenti di così tante emozioni, ci siamo fatti anche un girotondo dall’esterno, godendo della lunga sosta sulla terrazza verso la Yamuna. E qui cresce l’affetto verso il romantico committente. La sua sfortunata storia lo vede imprigionato dal figlio, usurpatore del suo regno, per proteggere i capitali dal suo dilagante amore. Quattordici figli! Infatti, nel progetto congeniato da Shan Jahan doveva sorgere un secondo mausoleo (ah pardon cenotafio perché la tomba sopra è vuota, da bravi mussulmani le spoglie sono interrate), di colore nero, sulla riva opposta del fiume. Lo aveva pensato per ospitare le proprie spoglie. Il figlio, da vero khatrya, non apprezza l’arte e l’amore ma conosce bene la guerra e l’ordine. Agisce usurpando il trono al padre e imprigionandolo nel Forte Rosso, facendogli però la gentilezza di poter traguardare la tomba della moglie. Una volta morto, povero Shanny, non gl’è rimasto che un posto affianco alla moglie, in un sarcofago più piccolo e decentrato. Beffa della vita! Ha realizzato un capolavoro di ordine e simmetria e lo ripongono fuori asse!
Prima di abbandonare questa meraviglia del sentimento, facciamo un altro giro, “con i tuoi tempi” dice, ed entriamo ancora una volta nella pancia buia dell’amore. Qui mi pongo una domanda, alla quale però, non ho trovato risposta. Ebbene, questo luogo parla, trasuda amore e non l’avrei creduto se l’avessi sentito, come si realizza quest’idilio? Può architetto o progettista possedere una tecnica per far questo? Si realizza coscientemente una tal grazia oppure è frutto d’alchimie irrivelate? Mistero della fede o dell’arte?
Ancora non basta? Ingorda! La moschea di fianco, come non confidare che restituisca allo stesso modo del cenotaffio. Adoro le moschee, l’ho forse già detto? L’ho appurato lo scorso anno ad Istanbul. Il senso di spiritualità che mi comunica la moschea come luogo di culto è unico. Nessuna chiesa, nemmeno Santa Croce, nemmeno la basilica d’Assisi, mi rendono tanto e così direttamente il contatto con l’energia superiore, il divino. Non sono in grado di spiegare a parole il motivo, le nostre chiese sono austere, mettono distanza e avvolte timore o soggezione. La moschea ti accoglie, ti mette comoda, non ti lascia sola con la tua colpa, la ripartisce sulla collettività. Spiegare le sensazioni è un po’ forzarle. Ci leviamo le scarpe e percorriamo quel pavimento ustionante fino al marmo fresco dell’interno. L’ivan d’ingresso ci accoglie e ci lascia godere della preghiera delle 14. Uomini in fila uno accanto all’altro, diversi tra loro, ma fratelli in quel momento.
Kalì, la dea del tempo e della distruzione, non risparmia la mia passione per le moschee e ci porta in fuga con un quarto d’ora abbondante di ritardo rispetto all’appuntamento con il resto del gruppo.

Sbigottimento o appagamento? Un piacere comunque. Pranziamo con le gambine sotto il tavolo, per completare l’orgasmo ci rimpinziamo anche la pancia e non solo il cuore. Mai perdere il nostro sano e occidentale materialismo. Abbiamo il pomeriggio libero, almeno nella sua parte tarda, perché ci alziamo da tavola che sono già le 16. Qualcuno approfitta dei servizi dell’albergo, massaggi e piscina, noi tre donne temerarie ci concediamo ad un moto rikshaw, che ci porta per negozi, quelli dove vuole lui ovviamente. Devo dire che un po’ me la sono fatta sotto, metaforicamente sta’ volta. Passare dal nucleo urbano affollato e comunque rassicurante, alla periferia abbandonata e scarsamente frequentata è un baleno. Avevo già visto i titoli del The Times of India, “ritrovate turiste sgozzate e derubate in strada periferica di Agra”. Ma torniamo in albergo sane e salve, avendo acquistato molto poco, se non una ridimensione di quell’incoscienza naturale che viene a di chi è innamorato di tutto.