Ambienti evocati ma definiti, facce conosciute.
L’uscita da una piscina, dall’ambiente della vasca direttamente nell’ingresso, alle pareti mattonelline azzurre acqua, piccole. Dietro il banco i volti che negli anni, da quando ero bambina, ho visto in quei ruoli. Chiedo indicazioni e cerco gli spoiatoi. Sono in accappatoio e cuffia, mi avvio per un ambiente stretto, un corridoio.
Sbalzo fuori contesto e sono all’Università. Tramite ambienti abbandonati passo dalla sede della Facoltà all’Accademia di Belle Arti. Entro alla scuola d’arte per un percorso nascosto. Cammino rasente la parete, percorrendo una rampa di legno, delle dimensioni di uno scalone monumentale, ricoperto di tavolati da cantiere. Mi accosto al muro, temendo per la stabilità del solaio, paura di cascare di sotto. Giungo in fondo, un’artista donna, mora, con una capigliatura rossa legata a coda, lavora di sega e saldatore, una scultrice all’opera. Una vecchia lambretta modificata per un’installazione. Iaia, mi indica di guardarmi alle spalle, è allestita una mostra su Modigliani, il livornese bohemienne. “Quello è il ritratto di Modigliani fatto da Goya”. Impossibile, mi volto e una sala enorme colonnato, con la luce dall’alto, il soffitto basso per la sua estensione mi si apre davanti. Faccio due passi e Modigliani è straiato come la Venere di Goya, dentro una cornice barocca. Da destra a sinistra e non da sinistra a destra. “E non è niente, guarda a sinistra, queste sono XXX un nuovo metodo di raffigurazione visiva”. Un quadro enorme, dalle figure fitte di tipo prerinascimento, un po’ Gentile da Fabriano, un po’ Simone Martini, rimaneva fermo per metà, e l’altra scorreva, un audiovisivo con commento musicale.