10 agosto 2008

Città specchio.


Per una volta la città incarna i miei sentimenti.

Tutte le domeniche ci salutiamo sapendo che ci ritroveremo il prossimo venerdì, nonostante la certezza di rivederci, tutte le domenica i saluti sono dolorosi, sempre di più potrei dire.

Razionalmente so e me lo dico: venerdì è vicino, venerdì arriva presto, le cose che hai da fare sono talmente tante, troppe che comunque non avreste modo di stare molto insieme, anche se non ci fossero questi 500 km probabilmente finireste per vedervi molto poco...
Questo è un dato di fatto concreto. Basterebbe accettarlo.

Emotivamente tutte le domenica pomeriggio, ed a volte anche già dalla mattina, sono sopraffatta da una cappa tristezza debilitante. Quella che secondo l'omeopata è alla base dei miei disagi fisici di maggio e giugno, con ragione probabilmente.

Mi trovo qui, una volta di ritorno dalla stazione, con tante cose da fare, desiderate durante i precedenti giorni della settimana, in cui il tempo non basta mai, ma senza lo stimolo, il piglio giusto per iniziare una.

Oggi anche Firenze sembra rispondere a questo apatico stato d'animo. Brulicante di turisti affaccendati, latitante di indigeni. Ed anche quelli rimasti a soffrir di caldo e zanzare, sono nascosti, sopiti, nei loro antri scuri e condizionati.

Non un contatto, non uno stimolo, se non quello dell'appetito, che, se non sarà sano da seguire per l'appesantimento del fisico che ne produce, sicuramente rialzerà a sufficienza il mio umore, almeno fino all'alba di domani, quando partirà la sconclusionata settimana di lavoro che mi aspetta.