Chissà davvero quando inizia un viaggio. Partirà insieme alle valige o a quel punto insegue se stesso? Probabilmente è come con un figlio, c’è una sorta di concepimento, un momento in cui, magicamente, tutti gli elementi si fondono insieme e lo generano. Poi la gestazione e… azz quello è culo, nel senso, non sempre tutto fila liscio, ci può volere una settimana, una mese, nove, una vita, ma alla fine si compie, arriva, si parte.
Il mio viaggio per l’India è stato concepito quella mattina di insinuante primavera.
Si, ne ho un’immagine nitida, sabato mattina, giorno di pulizia. La mia camera da letto permeata da una luce bianca, in controluce il fuori, il grigio monotono. I passaggi mentali e le congetture formulate per giungere all’idea li ho rimossi. Forse da un libro, il solito, ma guardato sotto un lato diverso, non più quello che mi intimorisce e mi riflette, ma dall’epilogo, la conclusione, il “Ritorno in India”. La soluzione.
Detto fatto, telefonata: “ehi ciao! Ho pensato una cosa” oltre la linea attonito silenzio “se risparmiamo da adesso quest’estate possiamo andare in ferie in India”. Giustamente silenzio. Il cavolo a merenda. Niente c’azzeccava. In un pellegrinare incessante di mete da vacanza durato tutto l’inverno, l’India non era che l’ennessima. Questo concepimento è passato inosservato.
Ho covato il mio frutto senza darlo a vedere, almeno fino a quando non ho avuto la certezza di poterlo coglierlo e lì ammetto di non aver risparmiato nessuno.
Il Viaggio ha visto la luce il 5 agosto del 2006 alle ore 16 in quel di Peretola aereoporto. Volendo fare una veloce carta del cielo, sole in Leone - che affinità elettiva con i Leoni – ascendente - udite udite - Sagittario. Quale miglior combinazione per un viaggio, forte dal gusto libertino e avventuroso?
Partire significa mettere insieme i partecipanti e noi saremmo stati diversi, circa 19.
Avevo appuntamento con Massimo, il tour leader, alle 16 all’aereoporto, da lì con una macchina a noleggio avremmo recuperato altre due partecipanti, Susanna, che avevo precedentemente incontrato e Tiziana, di cui non sapevo niente. Mio padre era particolarmente preoccupato, l’India, le malattie vere e quelle psicosomatiche ecc.. comunque la nostra pennicchella postprandiale non ce l’ha tolta nessuno e nemmeno il quarto d’ora accademico di ritardo. Non starà certo dietro ai minuti, uno abituato a viaggiare e lavorare con l’India. Infatti. Giungiamo alla location, bagagli in macchina ma lui non c’é. Lo Squillo che è risaputo per non sapersi fare i fatti suoi, sbircia in macchina con il suo sguardo indagatore anche se non più miope, e fa: “ma questi sono i suoi bagagli?”.“Penso di sì” rispondo io senza nemmeno guardare, poi mi casca l’occhio e vedo. Vedo una scatola di cartone, legata con uno spago anche mal messa e una sacca dimensione palestra, invicta. La parte buona di me dice subito “non giungere a conclusioni affrettate, aspetta”. Inizia a montarmi un po’ di agitazione, lo Squillo zampetta attorno alla macchina che gli è sembrata sufficientemente grande e robusta, il vento a Peretola che a deciso di fare danni e finalmente eccolo, lo vedo in lontanza, procede con quella camminata inconfondibile, calma e continua, avanza e l’aroma di paciuli lo annuncia. Brevi presentazioni, qualche battuta e per magia, tranquillizza mio padre. Non so come, ma ci riesce, tanto che mi liquida velocemente rivolgendosi a lui “Penso di affidarla in buone mani, arrivederci”. Ah! Gli uomini! Sentono ancora il passaggio di proprietà della donna, non ci posso credere! …e poi mi mette in mani di uno sconosciuto, così nell’arco di 5 secondi?! Conosco mio padre, gli basta vedere due spalle large e caviglie robuste per materializzare il concetto di solidità, retaggi di una cultura contadina… e poi da quanté che non vede l’ora di passare la patria potestà! Questo è stato il saluto con mio padre e il passaggio nelle mani di Massimo, figurativamente.
Montiamo in macchina e ci avviamo verso la prossima meta che non conosco se non a destinazione avvenuta, Careggi. Aspettiamo Tiziana. Nell’attesa scopro una cosa che poteva essere la ciliegina sulla torta. Il viaggio inizialmente doveva fare scalo a Amman, Giordania e da lì sarebbe stato possibile una visita lampo a Gerusalemme. Cosa avrei potuto chiedere di più ad un viaggio, India e Terra Santa. Poi il Libano e voliamo da Vienna. Nell’attesa di Tiziana, che per chiarire non era in ritardo, eravamo noi che avevamo preso appuntamenti con cadenze già tipicamente indiane, Massimo mi ha anticipato un po’ di temi che ricorreranno durante tutto il viaggio, il Mahabharata, la Bhagavadgita e i fratelli Pandava. Perle sfuse di una collana che inizio a rinfilare.
Avevo incontrato il Mahabharata, uno dei due grandi poemi epici della mitologia induista nell’ultimo romanzo letto, “Padrona e Amanate”. Contrariamente al titolo non è un harmony da tre lire ma un bel romanzo a mio parere, seppur pescato a caso, delle dimensioni di un foratone, di un’autrice indiana con precedenti che racconta la storia di un danzatore di kathakali, danza tipica del sud dell’india. Per quanto ho capito dal romanzo, la danza porta in scena rappresentazioni mitologiche con rispetto e religiosità, tanto che il luogo dell’esibizione è il tempio e sono una sorta di insegnamenti danzati, catalogo di espressioni e atteggiamenti tipici dell’umanità. Anche la Bhagavaghita non mi era nuova, l’avevo comprata insieme al sopraccitato romanzo, il retro di coperta riportava “la Bhagavaghita sta all’India come il Vangelo alla nostra civiltà” come non prenderla.
Alla ripartita mi offro di guidare, un po’ per il gusto di guidare una passat sw che non ho mai guidato, un po’ per la flemma di Massimo sulla strada e mettiamoci un po’ di finta cortesia, mi ritrovo a tentate di sbloccare il freno a mano. Con il metodo che adopero per l’informatica, spippolo a caso e ripetutamente, alla fine qualcosa si muove e così incediamo verso Campo di Marte. Quando la macchina è carica e ci muoviamo verso Malpensa sono già le 1830 passate. Mica male. La rotta tracciata dal capitano M. prevede Firenze, Massa, Genova, Alessandria, Malpensa. Non dico niente, da bravo mozzo eseguo, ingrano la marcia e parto. Devo dire che nessuno s’è lamentato della mia guida, sarà che non avevo la mia enfant terrible, sarà che ancora loro non avevano confidenza, li ho portati tranquilli tranquilli, animati da morbide conversazioni verso La Spezia. Lì mi ha vinto la pigrizia, il cielo si era abbuiato, un grigio blu. Si preparava all’acqua e io mi preparavo a gustarmi la strada per Genova e la città. Dovrò tornare a Genova, perché spasimarla a lungo.
MI piace questa strada, e percorrendola evoco i miei settembri genovesi. Alcuni tratti li ho precisi nella memoria, come quella curva a destra, appena uscita dalla galleria dove l’altra corsia ti rimane più alta sulla sinistra. La prima volta ero con Livia, noi due sole, avevo 18 anni, come la sua vecchia mini. È stata la prima infarinatura sulla diaspora degli ebrei dopo la distruzione del Tempio, sefarditi e askhenaziti, Cabala e Talmut, ancora Yehoshua. Dopo il viadotto su cui siamo stati fermi in fila con la nostra Astra Bianca senza condizionatore, ma allora non ci pesava. La strada corre, il paesaggio rimane, gli alberi radi, la collina brulla, la notte ancora non ingoia le forme, le mantiene a lungo nella scura nitidezza. Genova Nervi, il mare la galleria. Non faccio a tempo a pensare che la delusione è più rapida della gioia. L’autostrada non è la sopraelevata. Non vedrò Genova. Non la vedro così da vicino e sotto le forme che mi ero immaginata, quelle del giro da Piazzale Kennedy verso il matitone. Le gallerie ci inghiottono, la conversazione per fortuna ci si avviluppa addosso e Genova è passata.
La strada successiva sembra interminabile, la conversazione langue e mi si insinua addosso il timore ossessivo dei colpi di sonno, perché sono appena le 22, ma io dormirei tanto volentieri. Non cedo a Morfeo per rispetto ma due bischerate bisogna che le dica. A mezzanotte siamo all’alloggio, il clima è già cameratesco, sigaretta al chiar di luna e bagno in comune. Provo a leggere due righe, inutile. Ho portato con me un sacco di libri, sono un salvagente nel caso la vacanza prende una piega non desiderata. A portata di mano ho lasciato un piccola edizione Adelphi del ‘78 di Siddharta di Hesse. Non ho mai ceduto alle sue lusinghe, magari questo può essere il momento. Vedremo.
All’alba ripercorriamo quell’anonimo paesino che ci ha dato 4 ore di sonno e ci dirigiamo verso Malpensa terminal 2. Cerchiamo la porta giusta, Austrian airlines. Trovata la porta, trovato il gruppo. Diego e Silvia prodighi di saluti, Mario e Manuela, in viaggio di nozze, Viola e Valentina, si non è uno scherzo come la cantante, giovanissime, Piernonricordoilresto e Paola di Cagliari, e altri che ancora non metto a fuoco. Con il mini gruppo fiorentino facciamo il chek-in, ci nutriamo di brioce e caffè, gli ultimi per chissà quanto, e cerchiamo il gate. Radunati di nuovo continuano le presentazioni, Peppe e Anna, Milano, Luca e Sabrina, Daniela, Cristina e ancora Daniela.
Primo imbarco, destinazione Wien.