Ognuno ha suoi riti, ci sono quelli mattutini degli Hindù nel Gange o la messa la domenica, il nostro è un rito con cadenza annuale, come il Natale. Dura una giornata intera. Prevede la partenza all’alba e molto spesso necessità di attrezzatura da pioggia, ombrello, k-way, scarpe da ginnastica. È un rito collettivo. Stesse facce, da generazioni. Si crea un legame forte in chi persevera. Si cementano le amicizie d’infanzia, si saldano nuovi rapporti.
Partenza all’alba, non importa dove andiamo, il popolo della sinistra masochista si sveglia presto! Si raduna davanti al più destrorso dei bar locali a fare una borghese colazione con brioche e cappuccino e, giornali munito, s’imbarca verso l’evento: la Festa Nazionale de l’Unità. Non importa dove, se nella consolidata redditizia Emilia o nelle sperimentali nuove venute città di sinistra. Da sempre, la domenica di metà settembre è dedicata al comizio di chiusura del segretario. È un apparato in trasgredibile di atti dovuti: la ricerca del ristorante, il pantagruelico pasto, caffé e sniappa, libreria, pennica pre-comizio, intervento di chiusura, gadget, l’autobus.
Allo sbarco nel parcheggio, mettiamo in allerta chi già presidiava, ci ritroviamo e fortunatamente pago il primo caffé… sull’autobus la Cate si è ricordata che lo scorso anno ho pagato quello post pranzo con grappa annessa con leasing. Passaggio allo stand dei gadget, ma in anni e anni d’esperienza abbiamo imparato a stare leggeri fino alla fine, le magliette dopo! Acquistiamo solo un rosso ombrello cadauno, che poi semineremo. Casa Sicilia, saluti d’obbligo ai nostri procacciatori di delizie dello scorso luglio. Poi il gioco si fa duro, è appena mezzogiorno ma dobbiamo trovare posto per il pranzo. Grazie alla rete parentale riusciamo a prendere posto ad un ristorante di cui non sappiamo nemmeno il nome ma gli stinchi di maiale che fioccano sui tavoli ci rassicurano. Come profuga da un lazzaretto mi sistema sola sul lato lungo di un tavolo da otto, sotto le gocce della condensa che cade dal tendone. No problem basta salvaguardare il bicchiere, per il resto mi metto il cappello. Dopo un’ora d’attesa mangiamo in 15 minuti. Urge lasciare posto Compagni! Sinistra masochista anche con le gambe sotto il tavolo. Nuova direzione caffé. Immediatamente fuori un richiamo graffito “Palestina libera”, baretto? L’arabo barista si pulisce gli occhiali, rispondo alle sue smorfie miopi e scrocchiamo un caffé su 5. Meglio di nulla. Poi la novella dell’"impregnata” entro luglio 2008, ma questa è un’altra storia. Libreria e India India India… lo dicevo io che dovevo rimane a casa, non vedo più niente quando i libri sono in orizzontale, metto subito mano al portafoglio. “Nunzio è passato, l’hai visto?!” “Chi?!” Ora la parte centrale del rito, Faxino ci aspetta. Entriamo, il palasport brulica di puntini colorati e bandiere… non c’è più posto, puntiamo in alto, troppo in alto.
Specifichiamo, quest’anno volevo “ringambare”, avevo già ipotizzato qualche malore, scoraggiata dalle precedenti giornate d’acqua. Ma la compagnia degli amici di sempre, questo un contatto vero, unico, i Compagni siciliani, la voglia di esserci, anche quest’anno, a Pesaro, una Pesaro diversa che ci vede “vivi, uniti e forti”, ha avuto la meglio su qualsiasi pigrizia. E poi chi la sentiva la Cate!!
L’ho pagata, non è stata una passeggiata! …e prima che qualcun altro mostri le prove, devo ammettere che il mio fisico non ha seguito le mie volontà. Mi sono miseramente accasciata sotto un colpo di vertigine nel palazzotto dello sport e ho dormito per gran parte del tempo, ho sentito giusto un po’ del primo intervento, ho perso l’attacco di Fassino, ma ho dato il via all’applauso che ringraziava i 3.000 volontari che hanno attivato la festa nella realtà marchigiana. Il tracollo evidente è stato confermato anche dal pietoso riguardo che hanno avuto di me i miei affettuosi amici d’infanzia. La chiusura memorabile che ha sancito il mio sonno fino a casa è stata la conferma dell’accettazione di questa nuova me.
“Certo Sonia quando tu ti riprenderai da questo periodo…”
“Dubito, mi dovete prendere così oramai, questo è un punto di non ritorno, ho superato la fase elastica, ma sono simpatica no?”
Chi tace acconsente, ma c’è stato anche un Sì a conferma. Qualcuno ammette che la mia presenza era vincolante alla conferma. Ah però!
La solita bella, faticosa giornata di pioggia.
Partenza all’alba, non importa dove andiamo, il popolo della sinistra masochista si sveglia presto! Si raduna davanti al più destrorso dei bar locali a fare una borghese colazione con brioche e cappuccino e, giornali munito, s’imbarca verso l’evento: la Festa Nazionale de l’Unità. Non importa dove, se nella consolidata redditizia Emilia o nelle sperimentali nuove venute città di sinistra. Da sempre, la domenica di metà settembre è dedicata al comizio di chiusura del segretario. È un apparato in trasgredibile di atti dovuti: la ricerca del ristorante, il pantagruelico pasto, caffé e sniappa, libreria, pennica pre-comizio, intervento di chiusura, gadget, l’autobus.
Allo sbarco nel parcheggio, mettiamo in allerta chi già presidiava, ci ritroviamo e fortunatamente pago il primo caffé… sull’autobus la Cate si è ricordata che lo scorso anno ho pagato quello post pranzo con grappa annessa con leasing. Passaggio allo stand dei gadget, ma in anni e anni d’esperienza abbiamo imparato a stare leggeri fino alla fine, le magliette dopo! Acquistiamo solo un rosso ombrello cadauno, che poi semineremo. Casa Sicilia, saluti d’obbligo ai nostri procacciatori di delizie dello scorso luglio. Poi il gioco si fa duro, è appena mezzogiorno ma dobbiamo trovare posto per il pranzo. Grazie alla rete parentale riusciamo a prendere posto ad un ristorante di cui non sappiamo nemmeno il nome ma gli stinchi di maiale che fioccano sui tavoli ci rassicurano. Come profuga da un lazzaretto mi sistema sola sul lato lungo di un tavolo da otto, sotto le gocce della condensa che cade dal tendone. No problem basta salvaguardare il bicchiere, per il resto mi metto il cappello. Dopo un’ora d’attesa mangiamo in 15 minuti. Urge lasciare posto Compagni! Sinistra masochista anche con le gambe sotto il tavolo. Nuova direzione caffé. Immediatamente fuori un richiamo graffito “Palestina libera”, baretto? L’arabo barista si pulisce gli occhiali, rispondo alle sue smorfie miopi e scrocchiamo un caffé su 5. Meglio di nulla. Poi la novella dell’"impregnata” entro luglio 2008, ma questa è un’altra storia. Libreria e India India India… lo dicevo io che dovevo rimane a casa, non vedo più niente quando i libri sono in orizzontale, metto subito mano al portafoglio. “Nunzio è passato, l’hai visto?!” “Chi?!” Ora la parte centrale del rito, Faxino ci aspetta. Entriamo, il palasport brulica di puntini colorati e bandiere… non c’è più posto, puntiamo in alto, troppo in alto.
Specifichiamo, quest’anno volevo “ringambare”, avevo già ipotizzato qualche malore, scoraggiata dalle precedenti giornate d’acqua. Ma la compagnia degli amici di sempre, questo un contatto vero, unico, i Compagni siciliani, la voglia di esserci, anche quest’anno, a Pesaro, una Pesaro diversa che ci vede “vivi, uniti e forti”, ha avuto la meglio su qualsiasi pigrizia. E poi chi la sentiva la Cate!!
L’ho pagata, non è stata una passeggiata! …e prima che qualcun altro mostri le prove, devo ammettere che il mio fisico non ha seguito le mie volontà. Mi sono miseramente accasciata sotto un colpo di vertigine nel palazzotto dello sport e ho dormito per gran parte del tempo, ho sentito giusto un po’ del primo intervento, ho perso l’attacco di Fassino, ma ho dato il via all’applauso che ringraziava i 3.000 volontari che hanno attivato la festa nella realtà marchigiana. Il tracollo evidente è stato confermato anche dal pietoso riguardo che hanno avuto di me i miei affettuosi amici d’infanzia. La chiusura memorabile che ha sancito il mio sonno fino a casa è stata la conferma dell’accettazione di questa nuova me.
“Certo Sonia quando tu ti riprenderai da questo periodo…”
“Dubito, mi dovete prendere così oramai, questo è un punto di non ritorno, ho superato la fase elastica, ma sono simpatica no?”
Chi tace acconsente, ma c’è stato anche un Sì a conferma. Qualcuno ammette che la mia presenza era vincolante alla conferma. Ah però!
La solita bella, faticosa giornata di pioggia.