10 settembre 2006

Io, Mantova, l’India e Circe.

Mercoledì 5 settembre,
“La fragoletta”, antica osteria in Mantova

Mi sono stranamente annoiata a guidare verso Mantova, forse perché ero da sola e senza cd. Ne sono stata sorpresa. Ero convinta che mi piacesse guidare, ma forse a questo punto, la verità è che mi piace guidare in compagnia, con le lunghe conversazioni da viaggio, il ritrovato tempo di ascoltare. I miei pensieri durante il viaggio sono stati incorporei, inconsistenti, non prendevano fluidità. Guidare mi estranea la mente in un flusso di pensieri, ma non verso Mantova. Spesso non rimuginavo niente.
Bugia. Un pensiero c’era, ma non si può dire. È che un chiodo fisso non scorre lo sai, non fila…
Non so se è stato un male o un bene non pensare a niente, però è stato strano avere la testa sgombra, per una volta. Sono contenta di essere venuta a Mantova sola. Certo, lo sarei stata di più con la mia Socia, ma viaggiare sola è una cosa che ho fatto raramente, avvolte per lavoro e mai per piacere. Posso dire però, che ho sempre desiderato farlo. Rientra in quell’idea di donna forte che mi piacerebbe essere, capace di autonomia e libertà. Quindi è stata un’occasione da cogliere al volo per iniziare ad essere ciò che desidero. Un principio, almeno. In partenza ero un un po’ stordita, ammetto. Come una scarpa che calza stretta, ma che piano piano prende la forma.
Durante il viaggio le poche volte che il pensiero prendeva una dimensione consistente tornava a quello che avrei voluto scrivere prima di partire. Questo blog e i miei pensieri nero su bianco hanno preso una dimensione importante, “terapeutica” come dice A. Sono diventati un modo per guardare dritto in faccia eventi e emozioni. Non so come funziona per le altre persone, ma i miei pensieri sfrecciano veloce, indagando dettagli e sfumature, magari anche insignificanti ma che però rubano tempo e distraggono. Conseguentemente perdo il filo. Condividendole, traccio segni che portano ad una selezione, scelgo.
Segliere, come è difficile avvolte, come con questo menù. Ma ho avuto fortuna, ottime scelte. Ringrazio Fabio dell’ottimo consiglio, “La fragolina”, citazione letteraria da Goldoni mica “bip”… controfiletto di cavallo con patate arrosto, niente dolce ma gorgonzola al naturale con mostarda e marmellate casalinge accompagnato, giustamente perché venir da solo non sta bene, da un bicchiere di reciotto. Anche il cavallo era accompagnato per par condicio! … era il primo pinot nero dell’aperitivo che era da solo…
Anche essere al ristorante, seduta da sola a prendere questi appunti è una delle cose che ho sempre desiderato fare ma che non avevo mai fatto. Eppure non ci voleva molto, non c’era, volendo, nemmeno bisogno di andare troppo lontano. Da sola, ho sempre mangiato frugalmente e al volo, come se essere soli non meritasse il premio della sosta, o fermarsi e godere di un pasto e una bevuta, quasi fosse uno spreco. “Da sola”. È un po’ che ricerco questa condizione. Forma libera non plasmata da contaminazioni esterne, magari anche positive, ma contaminazioni. Non è sempre stato così. Una volta c’ero, intera anche se metà. Forse mi sono davvero “ritrovata”, forse è stata davvero l’India come dice R. Non ho un’idea chiara di quello che ho portato a casa, ma mi piace, mi ci sento bene e non ho voglia di chiedermi cos’é. Questo è quello che non ho scritto prima e scrivo ora. Provare a spiegare cosa ho riportato non è facile e forse nemmeno utile. Sono solo sensazioni confuse ma precise. L’idea è di aver imboccato la strada, con la forte impressione che sia quella giusta anche senza intravederne la fine, quel traguardo che non si vede ma non è importante. Non che non me lo chieda, cosa ci può essere in fondo. Eccome. La risposta è nebulosa e colossale. È un contatto che non c’era e adesso prende forma.
Sono arrivata in questa città sentendomi inadeguata, in punta di piedi, alle prese con una “prima volta”. Ho preso alloggio e la camera accogliente quasi mi fagocita. Sarei rimasta rintana lì dentro volentieri, ma è stato solo un breve pensiero, la curiosità e la voglia di essere mi hanno tirato fuori.
Si, a Fabio devo un paio di bottiglie di Chianti per questo indirizzo, questo gorgonzola è paradisiaco, o forse era solo troppo tempo che no lo mangiavo, il formaggio.
Seguo le frecce per il centro città, giro due rotonde e Mantova è apparsa con il suo profilo, stepitosa! Galleggia sullo specchio di acqua accesa di luce, con una consistenza muraria illeggibile se non nelle guglie di cupole e campanili svettanti. Apparizione.
Anche il profumo del Reciotto che accompagna il gorgonzola è una apparizione, arriva ad ondate, partendo dal bicchiere panciuto. Penetrante, ma non invadente, arriva con discrezione, ad onde.
Parcheggio distante, meglio camminare che rovinarsi il fegato nel traffico. Punto alla ricerca della segreteria organizzativa determinata a compiere il mio scopo: le prenotazioni per evitare le file all’acquisto dei biglietti. A naso, punto il centro della città. Lungo il tragitto incontro il Teatro Bibbiena e la sua fila di persone per comprare il biglietto. Uovo oggi o gallina domani? Gallina domani, sembro incosciente, ma non lo sono!
Decisamente superiore la mostarda rispetto alla marmellata, accudisce il sapore pungente del gorgonzola e lo accompagna con una consistenza vellutata.
Planimetria della città alla mano, mi dirigo alla ricerca di quel punto tre, luogo per le prenotazioni. Dopo aver percorso Via Verdi per tre volte, cedo scorata al punto informazioni che mi indirizza alla “Loggia del grano”, come se tutti al mondo dovessero conoscere questo imprescindibile monumento mantovano! La città brulica di persone, si sta svolgendo l’inaugurazione e non riesco ad orientarmi. Colpa della folla, non mi rassegno. A destinazione un ragazzo gentile mi spiega che arrivo tardi, molti eventi sono esauriti.. loro è?! Acquisto 4 biglietti. Sono soddisfatta, ho ottenuto Vikram Seth, l’indiano autore de “il ragazzo giusto” e per ora basta. La gita in battello con l’incontro con Scurati sembra poter essere un buon inizio a questa mia prima esperienza Festivaletteratura. Mi concedo alla città, libera, senza pretese di orientamento, cedo anche all’acquisto di libri, continua tentazione. Cosa compro? Prevedibilmente sempre l’India.
C’è qualcosa che non torna però, non mi posso dare pace. Di solito ho una lettura completa dei luoghi, ma non in questo caso. Ho una percezione unidirezionale, guardo solo avanti, esclusivamente per il mio senso di marcia. Di solito non è così. La folla, la folla… o questa dimensione “solitaria”?! Come spesso accade, quando smetti di cercare, di bramare o invocare, ecco che si materializza l’oggetto del desiderio. Sant’Andrea! Sopra le teste della folla si apre uno scorcio, la facciata, la cupola inquadrate dagli edifici ai lati di via Roma. Al primo sguardo ho un sussulto: ma è lei? Ma se non te la ricordavi fino ad ora la facciata, come puoi riconoscerla… vero ma, si è lei non c’è dubbio! È lui, l’Alberti.
Io mangio anche la buccia di questo formaggio, secondo me è buona comunque. Squisita. Ma è buono davvero o è solo troppo che non lo mangio? Alla faccia dell’intolleranza.
Questo è il suo ultimo progetto. Meno famoso della facciat a di Santa Maria Novella, ma l’apice della sua opera. Che ore sono, sarà ancora aperta? Mi avvicino rapidamente ma abbattendo ogni possibile aspettativa. Così non rimango male se è chiusa. La facciata è tridimensionale, è un arco di trionfo, un’arcata da acquedotto romano che riporta sul fronte la navata centrale e le cappelle che si aprono lateralmente. Si leggono nella profondità dell’arco certrale i lacunari con rosone. È lui non ci sono dubbi! So' fidati della tua memoria per una volta, hai sempre desiderato vedere questa chiesa, un motivo ci sarà?! Le gambe mi portano dentro, per fortuna viaggiano anche sole, i due neuroni del mio cervello sono ancora troppo stupiti per reagire. La porta è aperta ed è sant’Andrea, c’è scritto. Corri, corri dentro!
Azz. È lei, quella del libro, doveva essere un bel grandangolo quello con cui hanno fatto la foto. La navata centrale è enorme, è coperta da una volta a botte con lacunati prospettici dipinti, seicento forse. Dalle cappelle laterali filtra luce dalla finestre tonde che inondano parte dei lacunari prospettici scultorei con rosone centrale con cui sono coperte. La luce dela sera vibra all’interno, calda e mistica. Procedo verso il centro e prima di arrivare alla cupola penso già che domani ci tornerò, in questo posto ci dovrò tornare. Una persona scompare sotto questo vuoto, ti annienta. Gran parte dell’ambiente è spoglio, non ci sono panche nella navata, sono collocate solo su un braccio del transetto. Sant’Andrea è molto di più dei materiali che la compongono, è un “super luogo”, è uno spazio aulico, lirico che non trasuda stereotipata devozione ma senso civivo, e in questo stà, per la mia misera opinione s’intende, la sua spiritualità. Ci sono luoghi che parlano. Questo non è l’amore che emana il Taj Mahal o la collettivizzazione della moschea di Delhi, è un luogo che mette distanza, ti accoglie ma ti comunica la sua superiorità, quando è gentile.
Dubbio: ho incontrato tutti luoghi che parlano di recente oppure nello voglia di “sentire” mi stò facendo prendere troppo la mano?
Con Sant’Andrea sono appagata. Anche troppo per stasera, riposo: aperitivo e lettura, ma ho fame?! Mi dirotto all’osteria, un angolo accogliente mi ospita davanti ad una finestra modello “Anna dai capelli rossi”, un colore a caso…

Giovedì 6 settembre,
Palazzo Te, sala dei giganti.

Ho incontrato Giulio Romano in quanta superiore e mi è subito rimasto simpatico. Un irriverente che chiede deroghe alla regola, che cerca originalità nella scuola di maniera. Anche Jovanotti tuonò “l’ombellico del mondo” dalla Sala dei Giganti. Sono passati 15 anni e adesso ci sono. Stranamente è quello che mi aspettavo, non mi ha tradito come altre opere. Non è grande ma avvolgente. Ho chiesto alla signora che sorveglia la sala se mi potevo straiare a terra per inquadrare tutto l’insieme, addirittura s’è offerta di montare la guardia. Stupefacente disponibilità. Ho ripercorso tutti i volti dell’Olimpo, tuonanti da sopra la testa dei giganti, con le loro tornite forme e le loro collere. Cibele, chi è? Secondo me quello è Mercurio, con le ali nel cappello… o nei calzari?! Nella stanza sono annullati gli angoli ed ogni percezione architettonica. È un sogno, dimensione divina, senza riferimenti alla tediosa quodidianità, come questa mia dolce mattina, morbida e nebbiosa, dopo un sonno particolarmente movimentato. Ma il contrappasso vince e la notte inconsapevolmente agitata lascia il campo ad una organizzata serenità. Colazione rifocillante in piacevole ed interessante compagnia, passaggiata in bici lungo il Mincio e i suoi nebbiosi cipressi fino al paradiso suburbano dei Gonzaga, palazzo di diletto e trastrullo. La giornata promette molto e sono disposta a sfruttarla al meglio. Lascio questa dimensione di maniera per cercare il genio, l’artista innovatore, colui che ha condotto verso l’innovazione mantenendosi coraggiosamente aulico. Esosa? Forse.

Il Broletto

Tortello di zucca: primo piatto dolce, come lo ricordavo. Mi piaccio in questo locale, si vede che iniziano a starmi anche larghe queste scarpe!
Le pareti sono di un rosso pompeiano, riflettono in grossi specchi dalle cornici dorate. Non posso fare a meno di guardarmi. La mia canottiera verde stride del contrasto con la mia carnagione bianca, gli occhiali rossi e la testa di capelli neri raccolti, sul fondo rosso e la cornice oro dell’immagine riflessa. Un foto più pontormiana nel genere di maniera…
Ho un dolore alla bocca dello stomaco, ma cosa c’entra la gastrite? Che il mio fisico non mi segua in questo stato di gioia? Palazzo Ducale è un dedalo di stanze che per chi ha un’unica finalità, come me, la camera picta del Mantegna, può creare un po’ di ansia. Ma arrivare all’ulcera mi sembra eccessivo! I 5 minuti di sosta concessi nella “Camera degli sposi” sono il premio elargito a chi vi arriva, nonostante le forvianti frecce di indicazione. Ben disposti lungo il labirinto di ambienti, personale di servizio dirottano gli avventurieri. È andata bene che la ragazza di guardia al traguardo non avesse il cronometro.

È proprio vero, si può trovare l’india dietro casa. Io l’ho trovata a Mantova. Nell’acqua e nel suo valore sacro, di ruovo fondamentale del fiume per lo sviluppo e la sopravvivenza della città. Crescono addirittura i fiori di loto sul Mincio. Mettiamoci anche il riso in questo fil rouge con il subcontinente. Un paio di autori indiani, come Vikram Seth, che non conosco ma il volumone autografato servirà a questo; insieme Amartya Sen, anche lui indiano, nobel per l’economia nel 98. Non potendo sfuggire al mio dharma, la singora accanto a me all’ultimo appuntamento è un accompagnatrice di viaggio in India e ho dovuto parlare anche con lei del mio viaggio. Come esimermi! Anche il rientro è stato segnato dall’eco dell’India o meglio sul mio rientro si è abbattuto un’intera stagione monsonica. Un temporare improvviso e allarmante mi ha costretto a fare l’indiano, fermarmi e far passare la pioggia.

A sancire il mio ritorno a casa è la gatta che da il nome al blog ma nessuno conosce. È la mia gatta, grigia con gli occhi gialli, piccola di corporatura ma non di età orami. Una gatta che non fa fusa, non adopera unghie, ma non risparmia i denti per giocare. Dorme tutta stesa con le zappe anteriori nascoste sotto il busto e quelle posteriori allungate dietro, a salamino. Subdola, aspetta che io prenda sonno per impadronirsi di spazi vietati come il cuscino acciambellandosi attorno alla mia testa o stesa alla destra del letto. È tornata a casa con me, forse viveva meglio con i miei, ma non mi sembra particolarmente affranta, almeno per ora.