10 settembre 2006

UN FILO D'INDIA. Amber dall’elefante.

12 agosto 2006. Mancanza di sonno ma tutto va bene! chi dorme non si riposa, ma va avanti lo stesso.
Amber è la città fortificata, sede del regno del clan rajput Kachvaha, prima della fondazione di Jaipur. Ha tutto lo splendore di un luogo naturale, sorto conseguentemente alla morfologia fisica del territorio adatta difesa dai nemici. Il forte controlla di un serravalle, naturalmente adagiato su di un crinale più basso. Il verde smeraldo della vegetazione, insieme all’azzurro del cielo, contribuisce a creare una cornice paesaggistica unica al complesso degli edifici che lo compongono. La magia è amplificata dall’accesso in groppa all’elefante. Si sale attraversando viali stretti da mura e cortile a ritmo cadenzato, l’ondeggio della mole pachidermica, riportano in una dimensione d’alti tempi e ad un po’ di mal di mare. La richiesta pressante di mance riconduce subito al XXI secolo, la divagazione è minima! Il forte è in restauro o manutenzione straordinaria, la manodopera a lavoro è operosa e anche ben accessoriata. Non posso fare a meno di notare le misure di sicurezza, cinghie di sicurezza ed elmetti, sulle impalcature realizzate con i bambù. La calce per sabbiare i muri è di un bel color lavanda scuro. Anche gli interni del Forte hanno la stessa carica dell’esterno, piazzali si susseguono a stanze e corridoi.

Riprendiamo il viaggio in pulman, prevista percorrenza lunga verso Sariska, Tigar Camp. Ho dormito per la maggior parte del viaggio. Il risveglio è stato un po’ traumatico; il paesaggio era completamente cambiato, nessun riferimento urbano, solo vegetazione e roccia. La visuale non era libera, non si traguardava lontano, nell’immediato orizzonte basse montagne pietrose.
A destinazione, dopo le 4 ore di viaggio, apprendiamo che il parco è chiuso e che non vedremo nessun animale. Sono tutti abbattuti o incazzati per questa notizia, io non ne faccio partecipe nessuno, ma a me interessa proprio poco. Le tigri sono pericolose. Apprezzo molto la tappa nel verde, ma non per la fauna selvaggia, in particolar modo per la distanza che pone tra me e i clacson + mendicanti della città. Mi svacco ben bene sui divanetti e recupero un po’ di forze. A dire il vero avevo puntato l’albero enorme nel pratino all’inglese e le sue due altalene. Ma quella da me prescelta, con cestino in vimini, ha ceduto sotto la mia mole, scaraventandomi al suolo, ergo il divano può andare. Sfumaccio con Anna. Al tramonto, in un ridotto gruppo di cui faccio parte, evita la città di Alwar per fare due passi. 20 minuti nemmeno, con il figlio dell’albergato che non parla una parola d’inglese verso Uppa, la montagna. Volevamo sfuggire ai templi e li ritroviamo sotto il Ficus Banja lungo il percorso. Sono grandi alberi sacri che ributtano le radici dai rami, aiutati da monti di sassi creano un fittume di intrecci tra cielo e terra. Ho rubato un pezzo di corteccia, spero che Shiva apprezzi il gesto. Attraversiamo case di contadini molto ospitali, anche troppo, come fare a dirgli che il latte appena munto non lo bevo nemmeno da una mucca sacra?!

A sera, prima che la luna ormai calante si alzasse sopra la montagna, ci siamo regalati una volta celeste piena di stelle. Perché regalati? Perché l’energia elettrica all’intero albergo è fornita da un gruppo alimentato da un trattore, assordante. Quindi per godere del cielo e spengere l’illuminazione esterna, è stato necessario cessare ogni attività che usufruiva di corrente, come aria condizionata, scaldabagno, cucina ecc ecc. Quindi dovevamo essere tutti d’accordo per procedere a spegnere il trattore. Pochi minuti purtroppo, ma intensi. Non è agosto, se non passo un paio di sere a cercare stelle cadenti. E qualcuna è caduta, a Sariska.