04 settembre 2006

UN FILO D'INDIA. Jodhpur

8 agosto 2006. Sveglia regolare, colazione e come prima tappa della giornata, Jodhpur, la città azzurra. Il colore ha una doppia valenza, è un riferimento alla casta brahamana che predomina in città, ma sembra sia anche un modo per tenere lontano gli insetti e la calura. Saliamo verso il Meheranghar Fort , che sta proprio arroccato su un altura e domina il fitto tessuto urbano fatto di quadratini pieni e vuoti. Qualche scatto fugace al panorama e come non fermare quelle due bici abbandonate al muro?! Ma quante ne avrò di foto di bici!

Entriamo, ingaggiamo una guida locale, un signore di mezza età assai elegante, con i capelli tinti con l’henné di rosso. All’ingresso troviamo la formella che ricorda la “sati” , il sacrificio che si autoinfliggevano le moglie dei regnanti, nonostante il divieto inglese, buttandosi sulla pira del marito al momento della presa della città da parte di conquistatori. Che donne! …altra cultura! Saliamo ancora lungo un succedersi di porte e viali, sistemi difensivi probabilmente, per arrivare ad un cortile sul quale il palazzo mostra la sua veste di merletto. Arenaria rossa finemente lavorata come se fosse legno o filigrana. Si tratta di raffinatissime “jali”, finestre traforate dalle quali le donne di corte potevano assistere alla vita di corte senza essere sfacciatamente viste. Ne vado matta! Ci strofino sempre il naso, come probabilmente facevano allora. Una dietro l’altra, colori dietro colori, scatto una quantità assurda di foto ai guardiani , che più che per controllo fanno scenografia. Sono tutti uomini baffuti con turbante colorato. Il gusto per il primo piano mi prende un po’ la mano. Uomini vanitosi , si mettono pure in posa! All’ultimo piano, toilette, sembra una cosa normale, ma non in India e …siccome la nostra guida fuma, gli faccio compagnia comodamente seduta in un divano di pelle a guardar il panorama. Ancora sale , ancora finestre particolari, dettagli accattivanti e poi le miniature, deliziose! Della città non abbiamo potuto vedere nient’altro purtroppo, siamo ripartiti subito direziona Jaisalmer, la città del Rajastan più a ovest, verso il Pakistan. Se riusciamo, prima di arrivare in città, faremo un salto anche nel deserto.

Tappa banane a Osian. Scesi siamo assaliti e guidati per mano da un folto gruppo di bambini, vivaci, in carne, ben custoditi e determinati ad ottenere qualcosa! Rupies, “sculpen” o soap! Ci accompagnano al primo tempio, il Tempio di Sachiyamata. Succestivo l’ingresso, vi si accede tramite un ampia gradinata. Dentro è vissuto, anche un po’ kich, ventilatori, specchietti, locandine colorate. Al centro del mandapa, la cupola che ricopre la sala centrale, un fuoco acceso, da lì si capice perché il soffitto è tutto nero. Siamo accolti con calore, ci offrono della noce di cocco spezzata con delle mani zozze… tocca assaggiarla, uhm… non sta bene rifiutare! Una famiglia numerosa o una comunità intera di uomini e donne ci viene incontro e chiede di farsi delle foto, uomini con uomii, donne con donne. Hanno anche un piccolo bimbo in braccio, nudo con il cordino in vita, dice usa così fino ad una certa età. Dall’alto traguardiamo dove sono gli altri templi e li raggiungiamo. Sono siti abbandonati oramai. I bambini ci ritrovano e ci guidano per le strade. Le bimbe che mi tengono per mano alla fine ottengono i 4 orecchini che porto agli orecchi. Sono tanti, insistenti ma simpatici. Qualcuno ha degl’occhi visti esagerati. A questo giro l’incontro con gli indigeni è stato più che piacevole.
Di nuovo autobus, di nuovo monsone. Ho goduto un sacco ho tenuto i piedi fuori e me li sono fatti bagnare dall’acqua. Mi piace questo pulmino dall’aria un po’ scassona, crea meno distanza con il contesto. Non sarebbe affatto bello, ne piacevole, né salubre, chiudersi in un asettico pulman dall’aria condizionata. Sono contenta del disagio, pare poco?! Lungo il viaggio mi capita di fare due parole con Beppe. Di cosa? Abbiamo trovato subito più argomenti in comune, Beppe ha vissuto per un paio d’anni a Genova e allora parto a ruota libera… la Commenda di Pre, Palazzo Spinola, Brignole… e poi ha letto “Ritorno in India”, che volere di più!? Non ricordo a che punto, subito dopo la lettura della Bhagavadghita, subito dopo l’arringa di Krishna ad Arjuna, m’addormento di botto. Crollo. Mi risveglio durante un scroscio di monsone e un momento di incertezza: andare o non andare a Sam Dunes a fare in giro sul cammello, anche se piove e non c’è tramonto? Andare!! Andare!! Tanto qui il tempo cambia ogni tre secondi! E abbiamo fatto bene. La tenacia è stata premiata dall’asciutto e dal tramonto. La gita in cammello breve ma intensa. Ho perso subito le ciabatte… quell’animale impenna quando parte! il cammello che ci trasportava non era nemmeno troppo tranquillo e un pò s’è arrabbiato, aveva delle costole appuntite!! Insomma non è un animale che mi rimane molto simpatico. Bimbetti troppo insistenti c’aspettavano al pulman. Riflessione sull’elemosina. Personalmente non è un gesto che apprezzo, non lo faccio in Italia e non mi sembra praticabile tanto meno in questo contesto. Annienta ogni dignità, la loro e la mia. Non posso mica tagliare le mani a qualcuno?
La luna stasera è piena e si fa guardare dal bordo della piscina dell’albergo in cui alloggiamo, estremamente piacevole e confortevole. Al rientro in camera sorpresona che alimenta la sintonia creata tra me, Tiziana e Daniela. L’aria condizionata, che a me e Tiziana pare glaciale, lanciavamo segnali di fumo?! non turba affatto Daniela che scriveva i suoi pensieri a 13 gradi circa. Riportato il clima tropicale tenendo aperta la porta sul cortile, gesto che nel sonno ho maledetto. Ho passato la notte a cercare, senza occhiali, il modo per far ripartire l’aria, ma invano. Da lì la necessità di passare in pigiama a più riprese sotto la doccia. Quando dormo, dormo, non ragiono.