… e le mie domande (della serie me le faccio e le rispondo). Anche queste senza pretese e senza malinconia. Solo riflessioni nate dalla lettura, così come la voglia di condividerle o almeno di esternarle. Ovviamente sono le mie magre opinioni (almeno loro), contestabili, confontabili, condivisibili.
DELLA VITA DI COPPIA
“(…) quando finalmente mi alzai e presi il berretto dalla sedia mi resi conto che quei due avevano terrore di stare soli, terrore dei libri, delle sigarette e del tè, avevano paura della serata, dell’interminabile noia che si erano accollata perché temevano la noia del matrimonio.”
È più coraggioso affrontare la vita in coppia o separati?
La noia del matrimonio. Questo a Fred e Käte non accade. Loro si amano di un amore che gli permette anche di stare distanti e, se necessario di separarsi.
Non c’è giudizio. Non è più forte l’amore che sacrifica se stesso allo stare in coppia o quello che sacrifica il vivere a due alla libertà. È lo stesso amore, ognuno lo plasma a sua misura, a suo coraggio, per la sua necessità di aria. Quante volte si dice “stanno insieme per i figli” e si commisera chi vive un matrimonio "forzato"? Sembra molto facile abbandonare tutto, gettare anni al vento, non lo é. Si sente dire “si sono lasciati, la vita a due è fatta di compromessi, troppo facile il modello usa e getta!”. Non è semplice scegliere di separarsi, a volte c’è ancora amore, ma la vita insieme non è possibile, da soli è l’unica strada.
“Avevo ventitre anni quando ci sposammo… Da allora sono trascorsi quindici anni, rotolati, scivolati via senza che me ne avvedessi, ma non ho che guardare le facce dei miei bambini per rendermi conto che ogni anno aggiunto alla loro vita viene sottratto alla mia.”
“«Sono più felici quelli che si sposano senza amarsi» osservò lui «È tremendo volersi bene e sposarsi.»”
Il matrimonio è la tomba dell’amore?
Non è vero. Lo è quando l’amore è già moribondo, allora, il matrimonio è il colpo di grazia. È solo una regola comunitaria superflua all’amore, serve solo per sancire criteri di vita, e prendere un impegno davanti al mondo, necessario per chi non é avvezzo o desidera essere riconosciuto dagl'altri (... o garantirsi gli alimenti). L’alchimia giusta per vivere insieme è altra e ricetta è più segreta del Coca Cola...
La misura del tempo calcolata sulla faccia dei figli, o da figli da quella dei genitori.
“(…) Ci guardammo, e tra noi, in quei trenta centimetri d’aria tra i nostri occhi, c’erano tutte le mille notti in cui ci siamo abbracciati.”
“«(…)Vorrei sapere, per esempio, perché mi hai sposata.»
«Per via della colazione» spiegai. «Cercavo qualcuno con cui poter far colazione tutta la vita, e la mia scelta – si dice così, no? – cadde su di te. Sei stata una magnifica compagna di colazioni. E con te non mi sono mai annoiato. Neanche tu con me, spero.»”
“(…) a lei mi legava qualcosa che unisce due creature più che il dormire insieme: c’era stato un tempo in cui avevamo pregato insieme.”
Cos’è l’amore?
Ecco svelato l’arcano, il segreto di un’amore: credere, in cosa è a piacere, ma credere insieme. Condividere un rito o la colazione per tutta la vita, condividere un’ideologia, un interesse, ma farlo insieme. Sorrido.
(Vorrei credere con il Sig. Böll , che però è morto nell’85... il nostro, è stato un amore veloce, non abbiamo passato insieme che una notte, e sarà irripetibile).
GIRARSI NEL FANGO
“io ti capisco, ti capisco forse troppo. Conosco i sentimenti che provi, e so quanto è seducente, alle volte, rigirarsi nel fango. Lo so bene… e forse sarebbe meglio che tu avessi una moglie che queste cose non le capisse. Ma tu dimentichi i bambini: i bambini ci sono, esistono (…)”
Quando ho posto la domanda se la maternità rende le donne meno libere o qualcosa del genere, intendevo questo. Käte capisce il desiderio di libertà del marito, lo condive anche, lo invidia quasi, ma per lei la responsabilità verso i figli è carnale, uterina. Penso che lo sia per la maggior parte delle donne e in modo naturalmente fisiologico presa in modo maggiore la loro vita rispetto a quella degl'uomini.
“(…) sognavo ancora di quella vita senza matrimoni che ci è stata promessa, sentivo il ritmo di canti liturgici , mi vidi in compagni di uomini con cui non ero sposata e dei quali sapevo che non desideravano approdarmi in grembo.”
IL PROPRIO VOLTO, I FIGLI E LA POVERTÀ
“Sorriso, nello specchio e guardo meravigliata il mio stesso sorriso, che ignoravo di avere, e ascolto il rumore dell’acqua, il cui gorgoglio si fa sempre più chiaro. Non riesco a ritirare lo sguardo dal fondo dello specchio, a portarlo al mio volto, sul mio vero volto, del quale so benissimo che non sorrideva.”
Il proprio volto. Mille persone in una. Un sorriso che hai dentro, sopito dalla quotidianità. Il denaro non è la felicità, ma troppe volte la limita. La vera povertà, quella che incide sul bisogno quotidiano, sul mangiare è la vera crudeltà. Raramente mi è capitato di fare i conti o di guardare quanti soldi ho in tasca per fare la spesa. Raramente, ma è capitato. La tristezza che arriva nel non poter avere qualcosa che sei stata abituata ad avere, anche se si tratta di un genere di lusso, è infinita. Come infinita è l’amarezza che mi monta quanto guardo certe spese, fatte di fagioli in scatola, pane e birra in lattina. È la misura del mondo, la povertà, e non c’è bisogno di guardare al terzo mondo, basta andare nei supermercati dopo le 20.
“Poi, tutt’a un tratto, parve che le nostre due teste si scambiassero di posto, lei aveva la mia e io la sua… E vidi me stessa, giovinetta, intenta a riordinarmi i capelli davanti allo specchio… Vidi lei, la fanciulla, aperta a un uomo, ch’essa amerebbe, che inietterebbe in lei la vita e la morte, lasciandole sul viso le impronte di ciò che lui chiamerebbe amore, fino a renderglielo simile al mio: scarno e ingiallito dall’amarezza dell’esistenza.”
In quate persone rivediamo il nostro volto, i nostri percorsi?
Una volta vidi la foto di un’amica coetanea di mia madre. Aveva 18 anni circa nella foto, con lei la madre all’epoca 50enne. L. adesso è identica a sua madre allora. Ho rovesciato subito questa condizione su di me. Io con la stessa faccia di mia madre alla mia età. Stesso viso, percorsi diversi. Da allora più che mai.
“Rimasi disteso a lungo sul letto, ruminando pensieri e fumando, senza sapere nemmeno a che cosa pensassi, finché mi resi conto che stavo cercando di identificare la fisionomia del cameriere. Non riesco mai a dimenticare una faccia: mi vengono tutte dietro e appena riaffiorano le riconosco. Se ne vanno diguazzando nel mio subcosciente, specie quelle che ho appena visto una volta di sfuggita, nuotano ancora come confusi pesci grigi tra le alghe di un torbido stagno.”
Non gli è stato conferito il nobel a caso al sig. H. Böll. Quando lo dico io che vedo le facce, mi vengon fatte le battute più squallide… nel dormiglia, in condizioni di relax, arrivano, dal nero, affiorano, e se ne vanno in dissolvenza. Sono dettagliate, a volte conosciute, per di più ignote, gravi e anche un po’ angosciate.
“«Piango inoltre» dissi «perché i bambini sono così tranquilli. Sono così silenziosi, Fred. Ho paura dell’accettazione ovvia, supina con cui vanno a scuola, la prendono sul serio e mi spaventa la meticolosità con cui fanno i loro compiti. Quel vecchio insopportabile frasario che usano gli scolari per parlare dei compiti, quasi le stesse parole che usavo anch’io quando avevo la loro età. È terribile Fred. La gioia che appare sui loro volti quando fiutano il misero arrosto che cuoce nella mia pentola, il fare pacato con cui la mattina preparano le cartelle e se le mettono in spalla. Vanno a scuola (…)».”
È terribile la rassegnazione alla propria condizione che genera l’esser nato e cresciuto in un preciso contesto. In questo caso è la povertà, che non motiva e non lascia spazio ad una speranza, ad un desiderio di crescita. Ma tutte le condizioni in cui ci si trova “dall’inizio”, per nascita o perché semplicemente “funziona da sempre così” influenzano a tal punto da non credere in nessuna alternativa. Occorre un moto generazionale per scardinare questa consuetudine. Con i diritti acquisiti sembra tutto facile, il diritto allo studio, al lavoro, allos ciopero, al voto, alla maternità, ma qualcuno s’è fatto il sentire prima di noi per cambiare tutto questo. …e noi, non solo non ce ne ricordiamo, ma non pensiamo nemmeno più di poter esigere qualcosa che ci spetta. Nel lavoro, nello studio, nella vita e nell’amore.
LA BANDIERA DELLA GIUSTIZIA
“«(…) Scriveremo la parola Giustizia sulla nostra modesta bandiera, no, tesoro mio?
(…) Bisognerà che ci pensiamo anche noi, cara, quando faremo costruire la nostra casa, sulla quale isseremo la bandiera della Lealtà e della Giustizia…».”
Qui Fred è cinico. Fa soffrire sua moglie raccontandogli di una casa enorme, che loro non possono nemmeno sognare. Infatti Kate chiede di smettere, ma lui continua, continua, si affoga delle sue parole. La bandiera della sua vita, Giustizia e Lealtà, non li porteranno a costruire la loro casa, mai. È una bandiera che non isserà mai, costruita, tessuta lungo le loro esistenze ma che non troverà mai una patria. I Poveri.
UN TOCCO AL CUORE
“«Mi aveva toccato il cuore» dissi«Ho toccato anch’io il tuo cuore?»
«Più che toccarmelo, tu me lo hai girato dall’altra parte. Ero addirittura ammalato in quel tempo. Non ero più giovane, avevo quasi trent’anni… ma il cuore le l’hai voltato dall’altra parte. Credo che si dica così. Io ti amo molto.»”
C’è chi tocca e chi gira il cuore? … e con cosa?
Con gli occhi, con le mani, con le parole, con i fatti.
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