16 ottobre 2006

UN FILO D'INDIA. Amritsar e il fiume di pianto.

23 agosto. Una splendida mattina come le altre di questi 20 giorni. Di quelle mattine che pur essendo andata a letto tardi ti svegli presto, e che la luce filtri o no, sei sveglia. Chiamala come ti pare, segnale, energia o insonnia, ti alzi, fai le tue cose in silenzio e poi aspetti a letto la sveglia del mondo che ti gira attorno. Leggo la guida, Amritsar non c¹è né nel Touring, né nella Routard.
Strano inizio di giornata! Evolve in modo regolare, colazione, sigaretta, attesa che il gruppo si ricostituisca. Il programma prevede una sola meta, la visita all'Hari Mandir, "il tempio di Dio nella forma di colui che cancella l'ignoranza", il Golden Temple dei Sikh, il maggior luogo di culto di questa religione. Si prevede di visitarlo stamani, in forma prima libera ed autonoma, poi una lezioncina con il Guru, infine l¹interno del sancta sanctirum. Pranzo in albergo, con le gambine sotto il tavolo e pomeriggio libero. Per gli stacanovisti delle visite, l'ipotesi è di andare a vedere il cambio della guardia alla frontiera con il Pakistan. La sera si prevede di non cenare, per assistere al rito serale di riposizione del libro, uno dei soggetti venerati dai Sikh.
Procediamo per gradi.

Andiamo al Tempio d'oro in autobus, o per lo meno ci arriviamo abbastanza vicino. Attraversiamo una città che sembra in fase di ricostruzione post bellica. Grandi viali a doppia carreggiata, agglomerati di case un po' precari, spazi vuoti desolati. Il busse ci scarica in un parcheggio da camion e camionisti, di quei mezzi colorati e pieni di lucine, con le scritte sul tergo "suonami se mi vuoi sorpassare", vissuti da quella strana popolazione, con i loro visi persi, stazionanti in cabina di guida, o portoghesi sul tetto... Ci avviamo a piedi, infilando in un tessuto urbano di magazzini e aree deposito. Avvicinandoci al tempio, il traffico aumenta, le cortine di case cambiano, venditori di bandane ci abbordano per smerciare l'indispensabile indumento per l'accesso all'area sacra. Io ho il mio, o meglio, il tuo. Mai oggetto fu più comodo! Cotone da bagnare all'occorrenza per non surriscaldare quei due neuroni che coabitano nella mia corteccia cerebrale. Possiamo entrare togliendoci le scarpe e abbandonando le sigarette. Un tipo ci prende un sacchettino con il surplus, ci infagottano le scarpe nelle cellette contenitrici e abbiamo accesso a quest'enorme monolite bianco. Troviamo un varco in quest'imponente roccia e, come è uso, ci laviamo i piedi per entrare, in vasche di acqua corrente poste proprio sulla bocca della caverna. A piedi bagnati, il marmo bianco è un'impresa! Si scivola! Equilibrio precario e... appena recuperiamo da poter alzare gli occhi... apriamo la bocca dallo stupore!!! La roccia monolitica, imponente e austera dell¹esterno si apre e ci accoglie in un¹immensa piazza d¹armi d¹acqua! Le dimensioni sono quelle di uno stadio, un campo di liscia acqua chiara circondato da candidi portici ed immacolati edifici alti, a muraglia protettiva ma discreta. Al centro, il nucleo sacro, dorato, risplendente. Imbambolati di meraviglia. Questa è la nostra condizione all'ingresso del Golden Temple. Sostiamo un po' sull'immediata banchina dall¹accesso e poi ci muoviamo liberi ognuno per conto suo.
Io e la Canon, ci bastiamo e incediamo per questo girotondo della grande vasca. Indescrivibile la pace reale che regna qui dentro. Ti invade e ti rimane addosso, manifestandosi nell¹epidermico sintomo di un sorriso. I fedeli ci accolgono con strette di mano, calorosi gesti di saluto, questo reverenziale ringraziamento che porta le mani davanti alla bocca e china la testa, Namasté. Qualcuno, lungo il percorso, mi ferma e mi chiede di fare una foto insieme, qualche bambina ti prende la mano per mettersi in posa, e il cuore si fa tenero, di ghee. Altri mi chiedono di fargli la foto. Ma capita a tutti noi, siamo solo noi i turisti qua dentro. Nel candore dei portici e della brezza mattutina svolazzano abiti di tutti i colori, veli leggeri, a gruppi incedono e stazionano. Io sono in bianco, con la maglietta della Pace in testa e mi sento terribilmente a mio agio qua dentro. Due ragazzi adolescenti mi si avvicinano "whereareyoufrom?" "Italy" e non mi lascieranno più, rimarranno per un po' nei nostri paraggi, a distanza, curiosi.
Ci ritroviamo al punto di partenza, sotto i portici e radunati tutti, il Guru, ci spiega un po¹ in cosa consiste questa religione dai turbanti.
"La comunità Sikh, rappresenta il 2% della popolazione indiana, per lo più residenti in Punjab. È una minoranza religiosa attiva nell'economia e negli affari, il loro credo prescrive di essere onesti e di porsi al servizio della società. Si contraddistinguono per i tipici copricapo, ce ne sono di più tipi in base allo stadio di crescita religiosa. Portano la barba lunga e un bracciale d'argento al polso. Non sono hippy ne nostalgici, sono un elité intellettuale rappresentati dal primo ministro del governo di Sonia Gandhi. Suona bene no, Sonia Gandhi J.
La religione Sikh nasce per opera del guru Nanak nel XV secolo, attingendo il principio della reincarnazione dall¹induismo e respingendone le caste, dall'islam la semplicità e assenza di immagini sacre, la preghiera e il dogma di un unico dio.
I Sikh osservano le "5 k": 1) non devono mai tagliarsi né capelli né barba, 2) portano un pettine di legno dotto il turbante, 3) il kara il braccialetto d¹argento da portare al polso destro,4) brache corte e 5) il kirpan, il pugnale da tenere sempre al fianco come arma da difesa. Sono per tradizione un popolo di valori guerrieri
- ­ Sandocaaaaaaaannn! ­ - si distinsero nelle battaglie contro gli inglesi e al loro fianco nella seconda guerra mondiale.
Nel 1984 Indira Gandhi dovette sedare una rivolta per l'indipendenza Sikh entrando con le armi in questo tempio, provocando una carneficina. Gli costò la vita, ad opera delle sue due guardie del corpo Sikh.
Il dio unico dei Sikh si chiama "Sat", il Vero, il Reale.
Le divinità induiste vengono accettate in quanto molteplici definizioni del dio unico.
I successivi dieci dicepoli del primo guro Nanak, sono i veri e propri illuminati, il contatto con dio e l'uomo. L'ultimo guru, Govind Singh interruppe l'eriditarietà del ruolo di maestro, nominando suo successore il testo sacro dei Sikh, "Adi Granth", il primo libro, custodito nel sancta sanctirum del Tempio d¹Oro, che da allora viene detto "Guru Granth Sahib" e viene riposto tutte le sere dal cuore del tempo ad un'altra ala per la notte."


Adesso siamo pronti e dotti per andare a vedere questo libro, l'ultimo Guru. Io mi sento talmente tanto bene che mi si legge in viso la serenità, questa pace in testa della maglietta non è stata mai così appropriata. Lo devono riconoscere anche i miei compagni di viaggio, perché mi scattano in più di uno, diverse foto. Ora, come negare la mia fotogenicità?! Imposssibbbile!! Scherzi a parte, devo ammettere che capivo perché mi hanno scattavano quelle foto. Ero serena e la mia faccia, il sorriso, gli occhi lo dicevano. In questa condizione "privilegiata" sono andata con il codazzo del team Nord Indie a vedere Il Libro. Inutile dirlo che per me, più che l'aspetto sacro interessava in quanto opera editoriale, scritta e stampata. Per arrivare facciamo una lunga fila sul grande ballatoio che congiunge l'edificio dorato al perimetro della vasca. I fedeli vengono accessoriati di una foglia chiusa a coppetta con della roba granulosa dentro, dall¹aspetto ricorda una pasta di semolino con miele. L'odore è dolciastro, stucchevole.
Al piano basso troviamo una folla inginocchiata di persone gremita attorno alla parte antistante di un recinto. Dentro due soggetti completamente distanti da questo mondo leggono assorti e concentrati le pagine di un grande volume poggiato su due cuscini. Un bel librone, delle dimensioni di album da disegno. Scavalchiamo la folla a terra. Mi stupisco dell'elasticità di queste cicciottose signore indiane che lasciano intravedere dal top del sari delle belle maniglie dell¹amore, da vere adepte di aimsa, la non violenza.
Procediamo al piano di sopra, scale strette, le norme di sicurezza qui non devono condizionare le strutture religiose. Situazione simile, attorno al ballatoio che guarda sotto fedeli in concentrata e borbottante lettura dei loro piccoli volumi di Adi Granth. Ai lati delle scale, un vano accoglie un barbuto e canuto Sikh custode il vero grande libro. Ci lasciano avvicinare. Non l'avrei mai creduto, posso toccare l'ultimo Guru! Ha dimensioni impressionanti, ad occhio e croce, il formato di una pagina è quello di un manifesto, i caratteri sono eleganti, riccioluti e neri. danzano ordinati, su fili di colori. Dopo questa prima occhiata, l'esigenza è quella di fermasi e godere di questa sacra atmosfera. Parliamo con qualche ragazzo, o meglio, i miei compagni di viaggio parlano, il mio inglese mi consente a mala pena di capire. Handicap!
Adocchio una finestra e la sua soglia, sedendomi lì, posso guardare fuori la meraviglia dell'acqua e dentro, la litania delle letture dei fedeli. Punto la finestra e in quattro passi ci sarei, se non mi si mettesse nel mezzo una signora anziana, piccola, con i capelli grigi, raccolti. Inizia a parlare veloce come se fosse naturale che io la capissi. "Signora, io non la capisco, prego si accomodi lei, non importa, prego". Indico la soglia e le sorrido. Lei continua a parlare con quella naturalezza di chi pensa di essere capito. Cerco di essere gentile, porto le mani giunte alla bocca, le indico ancora la soglia e la invito a sedersi, niente, non ci capiamo. Dopo un po' di questo traccheggio è lei che prende l'iniziativa e mi spinge a sedere e mi si mette accanto, vicina, stretta. Io e lei a sedere in terra sullo stesso gradino. Potrebbe essere mia nonna, mi sorride e prende la borsa, se la mette sulle ginocchia incrociate e inizia a fruzzicare dentro, tira fuori un sacco di roba, cerca qualcosa in particolare. Io faccio uguale con le mie borse enormi, non trovo mai niente. Poi riesce, tira su l'oggetto della sua ricerca. È un fagotto fatto con fazzoletti da uomo, quelli a scacchi, grigi e blu, annodati sugl'angoli.
Potrebbe essere mia nonna, anche lei faceva così per proteggere i gomitoli di cotone dei suoi lavori all'uncinetto. La mia nonna, questa signora, non può essere lei, è morta da troppo poco tempo, non può reincarnarsi in una donna gia anziana... caccio queste suggestioni dalla mente, non è possibile. Ascolto le incomprensibili parole della signora, tento di spiegarle che non mi serve niente, ma le parole sono inutili, l'unica comunanza sono gesti e sorrisi. Scioglie il fagotto, all¹interno c'è quel preparato dolce che viene offerto all'ingresso, non è educato rifiutare ma non posso fare altrimenti. La signora capisce e mi si stringe più vicino, mi fa appoggiare e mi culla, mi lascia godere senza chiedermi più niente del contesto, del interno del tempio, dell'aria di fuori. Quasi mi addormento protetta da questa incomprensibile custode.
Decisamente mi appisolo, perché decisamente mi sveglia. E lo fa con uno strattone, una scossa forte sul braccio, il sinistro, lo prende e mi indica il tatuaggio. La guardo e non capisco, di nuovo. Allora lei si tira su le maniche lunghe e mi indica sul suo braccio destro, una m forse una z, più piccola, ma nella stessa posizione della mia. Caso o karma? Cosa vuol dire? Perdo la calma, sono suggestionata, non capisco cosa vuole, provo a chiederlo, sorrido, lei parla. Per uscire da questa situazione cerco nella sala qualcuno, vedo una delle sorelle O, e mi alzo, ci parlo e le indico di sopra. C'è ancora un secondo piano che non ho visto. Torno verso la signora e faccio per salutarla, allora lei mi ripete una parola, una sola, che non mi è rimasta in mente. Mi guardo attorno cercando aiuto, ma lei è più svelta di me, come sempre, apre le braccia e mi chiama in un abbraccio forte, un bacio di saluto che vale più di qualsiasi parola compresa. Sciolta dal suo calore, cerco le scale e le trovo a tastoni, gli occhi mi si velano, ma le lacrime non scendono. Predomina ancora un¹esigenza razionale di sviscerare l¹accaduto. Chi è? Cosa vuole? ... la nonna?
Al piano di sopra mi raccolgo vicino ad Anna e Tiziana, all'apice del tempio davanti all'ennesimo libro. Con i piedi scalzi, a sedere in terra, incrocio le gambe, poggio la testa al muro e non reggo. "Ragazze m'è successo una cosa strana...". Finisco il racconto, senza calcare troppo nelle mie suggestioni e chiudo gli occhi per contenere quel dolore che sale. Arriva e non sai nemmeno perché. Ha voglia di uscire, di prendere aria, e tu hai voglia di concederli la tua debolezza. Nel momento in cui Tiziana mi prende la mano, mi fa sentire che c¹è, che lei mi è accanto, questa energia prende forma e si condensa in lacrime. Lacrime a dirotto, con il sorriso. Contenerle non era possibile. Un fiume che rompe gli argini e inonda, fertilizzando e rimuovendo le incrostazioni formate sulle rive, salvifico.
Disintegrato i fazzoletti che avevamo, sono passata alla maglietta, mi asciugavo gli occhi con le maniche, ma poco potevano, quelle mezze maniche. L'unico giorno in cui mi ero truccata gli occhi. Recuperato un contegno, anche solo per rispetto ai flemmatici sikh che mi guadavano increduli. Con l'aiuto di Tiziana, sono scesa giu, portando con me gli evidenti segni di questa esplosione di emozione. Ma non me ne sono vergognata. Mi è dispiaciuto turbare, ma ero cosciente della bontà di questa emozione. Ci siamo radunati nuovamente sotto i portici, tutti i miei compagni di viaggio si sono mostrati rispettosi dei miei occhi provati. Me li sentivo vitrei, gonfi e rigenerati. Non una parola, nessuno a chiesto, io non ho raccontato.
Mentre ci aspettavamo, una giovanissima coppia è venuta a salutarci e a pensato di farci cosa gradita a porgerci il loro primo genito, un pargolo così piccolo e dolce che una volta avuto in braccio, ha aperto per la seconda volta i rubinetti. A quel punto ho avuto paura, ho quasi gridato che mi levassero il bambino dalle braccia, quasi potessi svenire, e ho ricacciato le lacrime in gola. Il loro corso era già stato. Non ero in grado di reggere oltre.

Usciamo da questo castello incantato, recuperiamo i nostri averi eccetto le sigarette che bho... chi se ne frega. Albergo, pranzo e piccolo riposo. Il guru non perde tempo per lanciare la sua freccia:
-"Non t'ha vinto la dissenteria, né la fatica, t'ha vinto il sentimento".
Accuso. È così. Tiro su le barricate, metto paletti e mi vesto di corazze, per non farmi vincere dai sentimenti. E poi basta una signora al tempio...

Il menù non cambia mai, dal lenticchie, pollo masala, naan. Incomincia a venirci il sospetto. Forse non sono questi gli unici piatti della cucina indiana. Forse è il nostro selezionatore che, nella fretta, sceglie per noi le solite cose?! Esatto. A due giorni dalla fine una bella scoperta! Otteniamo almeno un pane diverso, al burro gustoso.

Per il pomeriggio, boicottiamo bazar e negozi, riposo e gozzoviglio, per andare a vedere a poco più di 70 km il cambio della guardia e l'ammaina bandiera, alla frontiera con il Pakistan. Gli stacanovisti sono pochissimi, io e altri 5 temerari. Abbiamo il pullman tutto per noi e ne approfittiamo per recuperare. Sonnecchiamo. Arriviamo anche prima del previsto, i km in India hanno tempi di percorrenza doppi rispetto all'Italia. Troviamo un parcheggio in terra battuta e bancarelle, come baracche un campo rom in una periferia urbana. Un campeggio di vendita di bibite, dvd, bandierine e co., e una fiumana di gente che si avvia in un ampio viale. Come l¹entrata ad un concerto di stadio. La folla si stringe e s¹incanala, noi comprese, in vialetti più stretti, cinti da filo spinato. Sono le sei, ma il sole picchia ancora forte. Sembriamo un corteo anomalo per un campo di concentramento, ma la caserma a fianco e le alte recinzioni questo lasciano percepire.
Arriviamo davanti a delle gradinate e ci aggiudichiamo il posto vip, che non è altro che un modo per distinguere i turisti dagli indigeni e consentirgli di non separarsi in uomini e donne. Ci sediamo su questi gradoni di cemento e prendo coscienza della dimensione. Un viale centrale taglia perpendicolare la frontiera e la sua doppia recinzione fatta di filo spinato. Un cancello che più che militare sembra rubato ad una villa inglese e le bandiere, in alto. Nella parte indiana, lungo il viale da un lato la caserma, dall'altra le gradonate. In testa una porta come arco di trionfo con su scritto Hindustan.
La cosa più bella è la folla, l¹onda di colore raggiante delle donne al sole, vestite nei lori abbinamenti stridenti ma armoniosi, come la Deposizione di Pontormo, a loro modo un quadro manierista. Inganniamo la cocente attesa dell'evento seguendo le animazioni, a turno scendevano nel viale persone a far mostra di danze e balli dei più vari, canti, cori e risposte. Di là, il Pakistan, con i loro cromatismi decisi, verde e bianco, nient'altro dei loro cori di risposta. Ci bagnamo di sudore, il sole è acqua sui vestiti. E poi scatta l'ora. Esce la coppia di guardie nei loro colori marrone e nero, con pennacchi e con passo elefantino giungono alla bandiera. Sono arrivata a pensare che quel tipo di guardie siano frutto di una selezione genetica: enormi, altissimi indiani dai mustacchi arrotolati. Le bandiere scendono insieme, con gesti calibrati, e la folla scoppia, esultante. Uno spettacolo, nient'altro. Niente odi, niente eccessi nazionalisti. Solo un modo per fare festa. Tutto torna quindi anche le bancarelle all'ingresso. Rientriamo, l'aria condizionata s'infligge su di noi. Sento subito arrivarla alla gola.

In albergo ci aspettano per tornare all'Hari Mandir per la cerimonia della sera, la messa a letto del libro. Decido di andare al tempio con l'abito che mi sono fatta cucire in India, quello verde e oro. Forse un po' pesante, ma quando mai lo indosserò? Non mi sento a mio agio però vestita così, ho paura che non sia accettato dagli indigeni. Non vorrei fosse inteso come un mio scimmottare sterile i loro costumi. È questa in effetti è l'impressione che ho. Ma potrebbe essere anche solo un po timore di rientrare in quella bufera di emozioni della mattina. Non ritrovo la stessa gioia precendente al pianto, ne la liberazione delle lacrime. Mi sento estranea a questo luogo nonostante mi sia vestita da come loro.
Ci godiamo comunque il fresco e la compagnia di tanti curiosi, lungo la vasca di acqua placida, in questa notte senza luna. Chandra ci ha abbandonato, si è fatta piccola e stretta, concentrata nel suo ciclo e indifferente al nostro.